Il baule segreto: un misterioso giallo sulle rive dello Ionio

Durante gli anni ’80 il versante sud della Grecia era una zona discretamente vivibile dove crimine e malaffare erano quasi del tutto assenti, un po’ per la povertà delle persone un po’ a causa della distribuzione sociale delle terre, solitamente ben divise fra i residenti dei piccoli paesi che costituiscono il Peloponneso.

Lontano dal Partenone abitano pochissime persone in un territorio vastissimo, aspetto che ha consentito, in tempi remoti, un’equa distribuzione delle risorse fra la popolazione. La valuta locale dell’epoca, la Dracma, era assolutamente inutilizzabile all’estero a causa del cambio sfavorevole, ma consentiva agli abitanti un tenore di vita dignitoso, dove un pezzo di pane costava, nel 2001, 160 dracme, l’equivalente di 47 centesimi di Euro.

In questo ambiente semplice ma felice trovò luogo una storia dalle tinte molto più scure dell’acqua dello Ionio. I nomi di persona usati per descrivere i fatti sono di fantasia, ma i fatti e le località descritti assolutamente reali. Angela e Amos sono due cittadini tedeschi arrivati in vacanza a Finikounda, un piccolo paese del Peloponneso che si trova fra i due castelli veneziani di Koroni e Methoni, gli “Occhi di Venezia”. Il luogo è un sito storico di eccezionale rilevanza per il Mediterraneo, perché era la rotta che partiva da Costantinopoli e arrivava sino a Venezia.

I paesi sono semplici ma vivibili, e la gente del posto ha poco a che spartire con le fredde accoglienze nordiche. I due compagni si trovano bene e decidono di non tornare in Germania, forse per migliorare il proprio tenore di vita forse perché in fuga da qualche demone del passato. Angela è gioviale e disponibile, e trova lavoro come donna delle pulizie in un piccolo hotel nel centro di Finikounda. I ritmi di lavoro sono lontani dai massacranti orari tedeschi, e un pezzo di pane è sempre sul grande tavolo destinato al convivio familiare, allestito puntualmente dalla matrona della famiglia, la signora Georgia (pronuncia: Ièorghìa).

Quando finisce di lavorare la donna si tuffa nelle splendide acque incontaminate a 100 metri dall’hotel, e la sera l’atmosfera di festa fa sembrare il lavoro una vacanza retribuita. La sua integrazione è favorita anche da un fluente greco, imparato chissà perché e chissà dove anni prima, e l’amore profuso verso la comunità viene generosamente ricambiato, facendola diventare la “Iermanida” (tedeschella) più amata del paese. Amos non ha eguale fortuna lavorativa, ma se la cava.

Con buona volontà si dedica a piccoli lavori manuali che, nel contesto descritto sopra, consentono alla coppia di condurre una vita semplice ma onesta, priva di vizi ma anche di doveri. Era il 1988, e di lì a poco sarebbe stato realizzato “Mediterraneo”, che portò alla ribalta i colori blu dell’Ellade. La casa della coppia si trovava a Kamaria, un paesino con quattro case che si trova a ridosso di Finikounda sulle montagne che la precedono verso l’entroterra. Qualche mattone fissato con la calce in un’epoca remota, un tetto di paglia e un camino consentono alla coppia di stabilirvisi senza chiedere niente a nessuno.

La casettina viene migliorata, rendendola “vivibile”, e il proprietario non si fa avanti a reclamarla. Casa, lavoro e sostentamento sono finalmente alla portata, e gli anni trascorrono senza particolari colpi di scena. Amos però ambisce a qualche agio in più, a privilegi di vita occidentale che, a queste latitudini, sono appannaggio di pochi, pochissimi fortunati proprietari terrieri. Lavorare in cantieri edili per poche centinaia di dracme al giorno non è quello che aveva sognato da ragazzo, e la voglia di partire alla ricerca di fortuna aumenta giorno per giorno, come un chiodo sulla fronte che scava inesorabile un foro sempre più profondo. Angela dal canto suo aveva trovato un paradiso, una nuova vita in un contesto gioviale che la rendeva felice. I due sono in rotta, e Amos lascia il paese, per sempre. Era il 1990. Gli anni passano, Angela vive e lavora nell’hotel e diventa un componente aggiunto alla famiglia dei proprietari.

Alterna il lavoro di donna delle pulizie a quello di baby-sitter per i figli di uno dei gestori. Dopo la partenza del compagno aveva lasciato la casa di Kamaria, stabilendosi definitivamente all’hotel. Passato qualche tempo la donna accusa i primi acciacchi di salute. Il lontano ospedale di Kalamata è poco attrezzato, e i segni di una malattia mortale sono poco riconoscibili ai medici della guardia medica di Finikounda. La donna muore nel 1998 a 55 anni, lasciando dietro di sé uno splendido ricordo ma anche tanti interrogativi sulla sua vita prima della Grecia. Georgia, proprietaria dell’albergo, in veste di familiare acquisito, svolge le necessarie operazioni di sepoltura della donna, e Angela viene dimenticata fra la quotidianità delle faccende lavorative.

Qualche tempo dopo i proprietari dell’hotel si recano alla casa che era stata della coppia, quel piccolo ammasso di calce e pietra realizzato chissà da chi chissà quando. Lo scopo è quello di mettere ordine ai beni della donna, ma anche di trovare, magari, qualche oggetto di valore o qualche indizio sulla vita passata della tedeschella. L’interno dell’abitazione è povero ma ordinato, e all’interno spicca solo un grosso baule ai piedi del letto. Georgia pensa che dentro ci siano sicuramente coperte o vestiti, magari buoni per poter essere riutilizzati. Lo “scrigno” viene aperto, e il circo degli orrori cala il suo velo grigio sul blu del Peloponneso.

Dentro al baule non c’è qualche vecchia coperta o qualche vestito, ma il cadavere in decomposizione di Amos con una foto e il nome scritto su un pezzo di carta. La donna aveva conservato il cadavere dell’uomo dentro al baule per più di 8 anni, facendo pensare che questi si fosse recato all’estero senza più tornare. Vennero avvisate le autorità locali ma non fu svolta alcuna verifica sul cadavere dell’uomo, per accertarsi che fosse realmente Amos. L’elevato stato di decomposizione associato ai foglietti e alla fotografia che aveva lasciato la donna erano più che sufficienti per identificare come “certa” l’identità del cadavere.

Angela aveva ucciso Amos quando questi aveva manifestato la volontà di andarsene, l’aveva tumulato dentro al baule e vi aveva messo sopra una fotografia per renderlo riconoscibile. Poi, era andata ad abitare all’hotel a Finikounda, per dimenticare, e far dimenticare, l’accaduto. Probabilmente Angela sapeva che qualcuno, prima o poi, si sarebbe recato nell’abitazione, e aveva voluto lasciare il suo ultimo messaggio alle persone che avessero aperto il baule. Le ipotesi sono molteplici: l’uomo potrebbe anche esser morto per cause naturali, e Angela averlo nascosto per paura di essere incolpata. Oppure qualcuno potrebbe aver messo un baule con un cadavere dentro all’abitazione della donna, sfruttando il caso propizio e prendendo una fotografia dall’interno della casa. Questi e altri interrogativi rimarranno per sempre un mistero, che Angela si è portata, inesorabilmente, con sé nella tomba.

redazione