Hikikomori: disagio o stile di vita?

La notizia che un ragazzo neanche ventenne tenti il suicidio, lanciandosi da un palazzo, fa inorridire. Sapere che ciò è avvenuto a causa di una lite con un genitore, fa angosciare. Ma scoprire che ciò è accaduto perché gli è stato tolto il computer, lascia davvero senza parole. Eppure è esattamente ciò che è successo a Ruben, ragazzo torinese di 19 anni che, dopo una lite con la madre, la quale gli aveva tolto di mano la tastiera del pc, si è lanciato dalla finestra del suo appartamento al quinto piano. Una tragedia che si commenta da sola. Per fortuna il ragazzo è stato miracolato, è infatti sopravvissuto alla caduta, riportando però dei gravi traumi alla colonna vertebrale.

In tutta questa triste faccenda, molti si sono chiesti come sia stato possibile arrivare a tanto. La risposta riportata dalle maggiori testate giornalistiche è che il ragazzo fosse un hikikomori… Ma cos’è un hikikomori? Il termine, coniato in Giappone dallo psichiatra Tamaki Saitō, è diventato recentemente molto conosciuto anche in Occidente, usato per indicare persone con comportamenti antisociali. Eppure molti ancora ignorano cosa sia con esattezza tale fenomeno, e quali siano le cause che lo scatenano. Non potendo (né volendo) confermare (o smentire) l’ipotesi che Ruben sia effettivamente un hikikomori, cercherò invece di fare maggior chiarezza sulle sue caratteristiche ed origini.

Chi sono gli Hikikomori?

Il termine hikikomori (letteralmente: “ritiro”) indica non solo un fenomeno sociale, ma anche una patologia psicologica e gli individui che ne sono affetti. Come suggerisce la parola, è stato scoperto in Giappone, il paese maggiormente colpito in assoluto, con una stima che va dai 500.000 casi ad addirittura 2.000.000. La grande imprecisione di queste statistiche ci fa capire quanto sia difficile definire se una persona ne sia affetta o meno. Si indicano con quel nome, tutte quelle persone che passano buona parte della propria giornata (o tutta nei casi più gravi) chiuse nella solitudine della propria stanza. Persone che tendono ad invertire il ciclo sonno-veglia, preferendo vivere di notte. Con una vita sociale pressoché assente e di carattere timido, introverso. Una condizione spesso legata strettamente alla dipendenza da internet, videogiochi, serie tv, anime e in generale dal mondo nerd/geek.
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La difficoltà nel delineare con precisione tale condizione è data anche dallo scontro ideologico tra chi sostiene sia una patologia da dover curare, e chi la vede come una condizione volontaria, una sorta di eremitaggio postmoderno, dato da una repulsione dell’individuo nei confronti della società. In Giappone in effetti, il fenomeno hikikomori è iniziato proprio così. Per quanto la vita al giorno d’oggi possa essere ansiogena in ogni angolo del globo, la cultura giapponese intensifica tale stress imponendo delle aspettative sociali e professionali mediamente molto alte. Le persone che non riescono a raggiungere i propri obiettivi, restano schiacciate dalla competitività dei coetanei e dalla delusione delle famiglie.

Cause scatenanti

Secondo gli psicologi, la maggior parte degli hikikomori sarebbero maschi primogeniti di età compresa fra i 16 e i 30 anni, con padri assenti o quasi, e madri iperprotettive che spesso assecondano l’esilio. Di per sé l’hikikomori non è una malattia, ma il sintomo di un disagio che, a sua volta, rischia di provocarne molti altri. È stato dimostrato infatti che l’isolamento, l’alterazione del ritmo sonno-veglia e la dipendenza da computer, causino depressione, disturbi della personalità, disturbi ossessivo-compulsivi e un forte aumento​ dell’irascibilità. Molti hikikomori hanno un atteggiamento ostile con i genitori e i conviventi, diventando anche violenti nei loro confronti.

Come comportarsi con un hikikomori

Precisando che non intendo asserire di sapere come dovrebbero vivere gli altri, è pur vero che chi vive come hikikomori spesso non solo non sta bene, ma non è nemmeno felice. Non si può giudicare la mamma di Ruben per quel gesto dettato dalla disperazione, ma è anche giusto dire che se si vuole aiutare qualcuno che vive in quella condizione isolata, gesti estremi non possono far altro che peggiorare la situazione. Cosa fare dunque? Il primo passo è certamente quello di riconoscere la situazione con la serietà che merita, senza sminuire o ridicolizzare lo stato emotivo di chi ne soffre. Spesso i genitori, sentendosi frustrati o impotenti, rischiano di peggiorare la situazione mettendo il figlio ancor più sotto pressione. In questi casi è imperativo cercare di discutere, arrivare a capire le cause che hanno scatenato la chiusura a riccio e tentare di affrontarle (magari con l’aiuto di uno psicologo).

La verità è che, per quanto possiamo vederla come una condizione totalmente lontana da noi, chiunque potrebbe diventare un hikikomori. Ciascun individuo ha un limite emotivo oltre il quale ci si arrende. E allora alcuni cadono in depressione, altri bevono, si drogano, giocano d’azzardo, cercano di difendersi dal mondo verso cui provano disgusto e sgomento. Non è una cosa che si dovrebbe tollerare e basta, non è una condizione di vita accettabile, ciascuno di noi merita ben più di quattro mura, uno schermo e una tastiera.

Gian Luca Giosuè