Greenwashing e Social Washing nei brand di moda: quando fare o non fare rumore

Greenwashing e Social Washing, due pratiche tanto comuni e allo stesso tempo tanto diverse. Analizziamo perché! 

Cosa sono?

Il Greenwashing permette ai brand di moda (dai più famosi ai meno) di interessarsi a tematiche ambientali e applicarle di conseguenza all’interno della loro azienda.

Il Social washing invece è una pratica che ha lo scopo di migliorare l’immagine dell’azienda attraverso iniziative green, di responsabilità sociale. Non sempre questa pratica è efficace, anzi, spesso è solo una facciata causando così una brutta pubblicità sul marchio.

Vari tipi di “washing”

Inoltre, alcune aziende notano certe tematiche (considerati trend passeggeri) e cercano di sfruttarli a scopi di marketing e di immagine social, associando così a certe cause di interesse sociale. Per questo motivo non solo abbiamo social washing, ma anche green washing (come abbiamo detto prima, legato a cause ambientali), pink washing (riguardo femminismo ed empowerment delle donne), rainbow washing (temi legati al gender e alla comunità LGBTQ+) e body positivity washing (tematiche riguardanti l’accettazione di qualsiasi tipo di corpo).

Questo mostrare interesse nei confronti dei diritti umani spesso rappresenta un comportamento ipocrita, ci sono tanti brand che nonostante dicano di impegnarsi ed essere attivi a favore dei diritti umani, spesso sono i primi che nelle loro fabbriche li violano in primis solo per favorire il proprio profitto. Basta solo vedere l’esempio di Shein, azienda cinese che sfrutta gli operai e gli paga 3€ all’ora per lunghe giornate di lavoro, garantendogli condizioni misere.

Esempi di Fast Fashion

Mostrarsi interessati ai diritti umani, e quindi favorire il green washing, ha senso nel momento in cui la politica dell’azienda è coerente: pro ai diritti umani dentro e fuori dal luogo di lavoro.

Un esempio collegato all’attualità è quello di Inditex, marchio che include varie catene di fast fashion come Zara, Bershka e Stradivarius, che hanno deciso di sospendere le vendite in tutti gli store presenti in Russia. Anche alcuni brand più importanti, come Chanel o Prada, tutti hanno mostrato impegno per la causa. Ma le intenzioni non sempre sono sincere e il rischio è quello di invertire la rotta e cadere nel social washing.

Le cause

Il volere rendere buon viso a cattivo gioco deriva da una pressione esteriore. Perché le aziende dovrebbero mettersi nella condizione di praticare il social washing? Tra le cause possiamo vedere come le giovani generazioni danno priorità alle questioni social all’ora di scegliere l’azienda in cui lavorare. O ancora, i consumatori (quindi noi che compriamo) spesso guardiamo quanto l’azienda sia coinvolta nel sociale nel prendere decisioni riguardo l’acquisto.

Quindi, è più importante fare o non fare rumore? Crederci e applicarsi veramente nei diritti umani o solo fare la bella facciata?

Francesca Billi