Gli atomi dell’editoria: i font più usati dagli scrittori italiani

Siamo abituati a comprare un libro perché incuriositi dal titolo, dalla copertina o semplicemente perché è l’ultimo del nostro scrittore preferito. Lo leggiamo, sottolineiamo le frasi che vanno dritto al cuore e che puntualmente dedichiamo, e lo riponiamo nella libreria.
E pensare che sono tante le cose curiose che possiamo chiederci!
Perché quell’immagine sulla copertina? Perché quel titolo? E perché quel carattere di testo?
Si, esatto!
Ve lo siete mai chiesto?!

Tutti li vedono ma nessuno ci dedica l’attenzione che meritano.
Essi rappresentano letteralmente il carattere di un testo e la faccia di un libro. Sono gli atomi dell’editoria, l’elemento base della comunicazione stampata, esattamente come lo sono i mattoni per l’architettura e le note per la musica.
La storia dell’editoria scorre parallela a quella della storia della stampa.
Sono così tanti che elencarli e descriverli singolarmente richiederebbe molto più che un articolo. Possiamo però senza dubbio dividerli in due sezioni: i caratteri “graziati” e i caratteri “bastoni”.
I primi hanno linee dritte e dello stesso spessore, senza alcun tipo di abbellimento. Vengono utilizzati per le copertine, le pubblicità e i testi su internet, quasi mai per quelli lunghi stampati su carta. Ad esempio: l’Helvetica, l’Arial, il Grotesk, il Verdana.
I secondi invece, si chiamano così perché all’estremità presentano piccoli ganci, ispessimenti, assottigliamenti. Cuciono insieme le lettere tra loro e rendono i libri fluidi e leggibili. Come il Garamond, il Bembo, e il Palatino.

Tralasciando tutto quello che può riguardare la loro storia, come sono nati e qual è il loro utilizzo (perché non vorrei certo annoiarvi!), adesso so che vi starete chiedendo delle curiosità.

Qual è il font più utilizzato in Italia nel settore dell’editoria?
Se i libri italiani fossero nudi, e cioè, se a completarli non ci fosse la copertina, sarebbe impossibile distinguere i vari editori. Rizzoli, Feltrinelli e Longanesi utilizzano il Garamond: un carattere disegnato dal tipografo francese Claude Garamond nel Cinquecento. Mondadori invece usa il Platino. In realtà sono molto simili se non fosse che il secondo ha il vuoto dentro le lettere e le stanghette della b e p leggermente più corte.

E qual è invece il carattere più utilizzato dagli scrittori italiani?
I font sono tra i pochi strumenti di lavoro di cui si servono, e sapere di aver scelto quello giusto può essere davvero rassicurante.
Tra loro c’è chi utilizza il Garamond, sempre. Come Alessandro Barrico, scrittore contemporaneo che aggiunge di non riuscire a scrivere con uno diverso. Rigorosamente testo allineato a sinistra e non giustificato. Oppure Antonella Lattanzi, scrittrice, sceneggiatrice e traduttrice. Dietro la sua scelta si cela nient’altro che l’averlo ritrovato in quei libri che ha tanto amato perché fa sentire accolta. E’ un font amico, è confortante.
Valeria Parrella invece, scrittrice di racconti, romanzi e opere teatrali, preferisce Times New Roman. Confida poi di non prendere mai appunti con il cellulare, anzi, le capita spesso di leggere libri di altri e se le viene un’idea utilizza spazi bianchi per appuntarsele. C’è poi chi lo cambia spesso, come Giorgio Fontana, scrittore, giornalista e sceneggiatore. E chi invece preferisce compiere la prima stesura a mano, come Paolo Giordano. Rigorosamente su quaderno a righe di grande formato, senza margini e con diversi asterischi per rimandi interni. Poi ammette di preferire il Baskerville.

Insomma il più quotato resta Garamond, ma ogni scrittore ha i suoi riti scaramantici. E magari anche la scelta del carattere ne cela alcuni. No?

Rachele Pezzella