Di Luca Sardella per Social Up!
Nel 2022, come ogni quattro anni, il mondo intero si fermerà e tutti in silenzio davanti ai propri televisori assisteranno alla più grande e famosa manifestazione calcistica mondiale: FIFA World Cup che si terrà in Qatar. Descrivere le emozioni che questa competizione suscita negli animi delle persone è difficile e complicato: immagini di pianti disperati, di abbracci infiniti aleggiano nella mente di chi i Mondiali non se li è mai persi. E’ praticamente impossibile non riconoscere al calcio la capacità di unire nazioni intere. Lungo la durata dei mondiali nulla sembra essere più importante.
Le persone sembrano distogliere l’ attenzione da tutto ciò che realmente conta; i discorsi, i programmi televisivi, le pagine dei giornali vengono totalmente monopolizzate dal calcio. Analizzando i Mondiali romanticamente tutto risulta molto affascinante e passionale, ma per poterli valutare nella loro interezza bisogna tentare di limitare la vaghezza delle emozioni, e distogliere lo sguardo dal campo di gioco per portarlo sull’organizzazione globale della competizione.
L’unico argomento che per ora sembra aver suscitato scalpore è che i mondiali in Qatar del 2022 verranno probabilmente disputati d’inverno. Da tempo calciatori, allenatori e osservatori si erano detti preoccupati per il clima torrido d’estate nel paese arabo, dove le temperature possono sfiorare i 50 gradi. Ma non tutti si sono soffermati su questioni climatiche o prettamente sportive per analizzare la buona riuscita di questa manifestazione.
Amnesty International, un’Organizzazione non governativa indipendente, una comunità globale di difensori dei diritti umani che si riconosce nei principi della solidarietà internazionale, ha pubblicamente denunciato attraverso il suo sito internet, che lo sfruttamento dei lavoratori impegnati nella realizzazione degli impianti necessari per la competizione tocca livelli altissimi, e che le autorità governative e la Fifa non stanno prendendo nessuna posizione in merito alla faccenda.
I lavoratori impegnati, per la maggior parte emigranti provenienti da Bangladesh, India e Nepal, hanno incontrato Amnesty International per un confronto rivelando svariate forme di sfruttamento sul campo di lavoro e non solo: posti letto scadenti e sovraffollati in mezzo al deserto; inganni rispetto al tipo di lavoro o al salario previsto; la mancanza di pagamenti per diversi mesi; la precarietà sociale dettata dal fatto di non poter essere certi di avere un regolare permesso di soggiorno in quanto considerati lavoratori clandestini; l’impossibilità di decidere del proprio destino perché privati del proprio passaporto e del certificato per l’espatrio; minacce ricevute per aver accennato timide proteste non violente nei confronti dei datori di lavoro. Come riportato da Amnesty International, un lavoratore intervistato ha dichiarato : “Sono andato dal mio capo e gli ho detto che volevo tornare a casa, tanto la mia paga veniva versata sempre in ritardo. Lui mi ha urlato ‘Continua a lavorare altrimenti non te ne andrai mai!“.
I mondiali in Qatar saranno sopratutto questo. Saranno il teatro della decadenza dei diritti umani. Le persone coinvolte, dagli organizzatori fino ad arrivare al telespettatore, dovranno decidere se considerare rilevante o meno il fatto di assistere ad uno spettacolo messo in scena con il sudore e lo sfruttamento di povere persone. Non è accettabile che per la realizzazione di una manifestazione sportiva, gli interessi economici riescano a prevalere anche sui diritti delle persone, anche perché lo sport non nasce come forma di divertimento?
Milioni di tifosi davanti alla televisione dovranno fare i conti con questo, dovranno scegliere se considerarlo come uno spettacolo meraviglioso che da molti anni appassiona tutto il mondo, oppure come un esasperazione del consumo prodotta dalla fatica mal retribuita di tantissimi uomini. Il calcio è uno sport meraviglioso ma se per la felicità di giocatori, spettatori e organizzatori bisogna calpestare i diritti umani dei lavoratori, forse sarebbe il caso di fare un passo indietro e domandarsi quali siano i valori fondamentali ai quali dare ascolto.