“Capita di non vivere una favola per paura della morale”. Ma, si sa, le favole, per quanto siamo sordi e ciechi, ci perseguitano. Succede a tutti di ritrovarsi un attimo a pensare alle storie che ci hanno raccontato da bambini, quelle con i draghi e le principesse, quelle che qualcuno ha sognato di vivere fino ad addormentarsi.
Ci ritroviamo ad essere grandi e i grandi devono essere svegli, devono tenere il cuore più nascosto, un passo indietro per lasciare spazio alle nostre faccende da grandi, le nostre ansie, le competizioni, le paure che continuano a sputarci fuoco addosso fino a farci scappare. Scappiamo dalle cose che sarebbero potute accadere, dalla felicità, dalla possibilità di poter cominciare di nuovo, partendo da noi stessi.
L’arte, come in ogni favola che si rispetti, può diventare allora il nostro aiutante, la fata che ci insegna che se vuoi, puoi volare alto e il grillo parlante che ci spinge a guardare dentro i nostri pensieri.
Adrian Borda, questo artista romeno, nato nella tranquilla città di Reghin nel 1978, ci offre un biglietto per viaggiare nel suo mondo fatto di reale e surreale, di volti e figure che somigliano a personificazioni dei nostri stati emotivi, di tutte quelle cose che guardiamo viverci dentro e che, spesso, non riusciamo a far vedere agli altri con le parole.
In un universo parallelo, lontano da quei tabù e quelle convenzioni sociali che Adrian vuole oltrepassare, c’è ogni sensazione che viviamo, trasformata in immagine. Colori tenui e brillanti, figure grottesche e mitologiche, occhi giganti, cuori trafitti sono gli abitanti della mente di questo artista geniale. Dettagli che richiamano le fatiche di Dalì e di Margaret Keane.
“In un certo reame, in un certo Stato, c’era una volta”: è in questo modo tranquillo ed epico che comincia la fiaba. La formula “in un certo reame” indica l’indeterminatezza spaziale del luogo dell’azione. “In un certo reame è un luogo comune della fiaba di magia e in un certo senso mette in chiaro che l’azione si compie al di fuori del tempo e dello spazio” scriveva Vladimir Propp, linguista e antropologo, e Adrian Borda aggiunge che quella dimensione non può essere altro che il mondo che ci portiamo dentro, il nostro “certo reame”.