Rappresentato al Teatro Manzoni di Milano , Enrico IV segna un grande ritorno dell’opera di Pirandello dopo 100 anni dalla sua prima rappresentazione (nel 1922 sempre al Teatro Manzoni, allora in Piazza San Fedele).
Per la regia di Luca De Fusco, anche curatore dell’adattamento, l’Enrico IV ci viene presentato con una rappresentazione fedele all’originale, che però privilegia uno sguardo drammatico, più che comico o grottesco sulla complessa opera pirandelliana.
L’allestimento scenico scelto è elegante e al contempo essenziale, così come lo sono i luccicanti abiti indossati dagli “amici” del protagonista (nonché quelli dello stesso Enrico IV), riunitisi a casa sua in una “pantomima storica” per farlo rinsavire dalla sua follia. L’uomo, infatti, molti anni prima, battendo la testa dopo una caduta da cavallo aveva perso il senno credendo di essere Enrico IV, il personaggio da lui interpretato quella sera. Dopo un consulto medico, si cerca di faro rinsavire attraverso uno strano gioco in maschera terapeutico tra presente e passato…
Il ruolo del protagonista è affidato ad un bravissimo Eros Pagni. L’attore interpreta con grande verosimiglianza il personaggio protagonista, riuscendo con chiarezza espositiva e perfetti tempi scenici a rappresentare il dramma di un uomo che come in Il fu Mattia Pascal si ritrova a vivere due vite, dopo una lunga assenza dalla realtà. L’attore ha il merito di esporre lucidamente i complessi e pungenti ragionamenti del protagonista e di rendere allo stesso tempo incredibilmente lucida l’immedesimazione nei panni dell’imperatore Enrico IV del personaggio protagonista. Così i suoi modi sono quelli di un imperatore, che vuole essere riverito e servito, nonché ascoltato da coloro che lo circondano; allo stesso tempo sono quelli di un “attore nascosto” che studia segretamente la reazione di coloro che ignorano la sua finzione.
Lo stile interpretativo di tutti gli attori è molto posato e contenuto: ciò permette di far emergere il lato più malinconico e beffardo del dramma pirandelliano, che provoca lo spettatore a ipotizzare un continuo ribaltamento dei piani tra follia e razionalità, tra “sani” e “malati”. La serietà e sobrietà dei personaggi, che indossano costumi eleganti e molto curati, sembra quasi identificarsi con la confusione tra il piano reale e quello della finzione che è prerogativa del protagonista.
Siamo quindi dinanzi ad una rappresentazione dell’Enrico IV, per lo più drammatica, in cui i personaggi indossano delle maschere con serietà e convinzione come se esse fossero reali e non per gioco. Il gioco se mai è di chi li ha costretti indirettamente a farlo…
Ottima anche l’interpretazione nei panni di Belcredi di Paolo Serra, un vero e proprio antagonista di Enrico IV, non solo in amore ma anche nella dialettica utilizzata. Allo stesso tempo è un alter-ego: è l’unico che intuisca la verità prima che questa sia rivelata. Anche lui è una maschera, un fantasma che mostra al protagonista come sarebbe potuto essere il suo futuro.
L’allestimento scenico essenziale ed ed elegante, lascia un’ampia visuale al centro del palco del Teatro Manzoni, su uno sfondo limpido su cui vengono proiettati delle luci. A lato molteplici cornici vuote di porte e finestre che simboleggiano la molteplicità delle maschere che ognuno di noi può indossare, così come i ritratti, caricature buffe, che, appesi, saranno più volte indicati dai personaggi in scena.
Alcune musiche movimentano momenti salienti della narrazione. La sobrietà dell’allestimento è molto apprezzabile e in essa spiccano i brillanti costumi indossati dai personaggi che, talvolta, illuminati da luci blu e fredde, davvero abbagliano gli spettatori: segno di come la maschera, la finzione possa accecarci e darci una falsa e fatua rappresentazione della realtà.
Nel complesso dunque una rappresentazione contenuta ed elegante nella forma, che mira a far sprigionare tutta la potenza del testo pirandelliano. Gli interpreti sono molto bravi a contenere le forme espressive e far risaltare così la beffarda e drammatica malinconia dei personaggi pirandelliani, avvinti nella prigionia del dilemma se sia meglio essere sani oppure folli, se sia meglio non sapere, oppure conoscere la verità.