“Un simbolo di eccellenza italiana all’estero” – Claudio Ranieri

In occasione del premio Bearzot, vinto quest’anno da Claudio Ranieri, il presidente della FIGC Carlo Tavecchio ha dichiarato che l’allenatore della squadra simbolo mondiale di quest’anno il Leicester a sette punti sulla seconda, il Tottenham, rappresenta un’eccellenza italiana.

Il Premio Nazionale Enzo Bearzot è un riconoscimento dedicato agli allenatori di calcio italiani istituito nel 2011 e assegnato da una giuria composta da rappresentanti delle maggiori testate sportive italiane.

Ripercorriamo adesso la carriera di Claudio Ranieri, l’allenatore che è riuscito ad imporsi, con una squadra che l’anno scorso, alla stessa giornata, era ultima nel massimo campionato inglese.

Ranieri è un uomo esperto di calcio, a testimonianza di questo possiamo segnalare la sua grande esperienza in questo mondo, dove ha iniziato come calciatore vestendo le maglie della Roma in serie A, quindi Catanzaro e Catania. Difensore senza spiccate doti, ma comunque intelligente che una volta appesi gli scarpini al chiodo ha subito iniziato la sua carriera da allenatore sulla panchina di Cagliari, Napoli, Fiorentina, Valencia, Atlético Madrid, Chelsea, Parma, Juventus, Roma, Inter, Monaco e Leicester. Figlio di Mario, macellaio a Testaccio. «Da giocatore ero uno qualunque, quindi da allenatore non ho avuto le porte aperte: sono partito dalla Calabria e sono arrivato qui. Un paio di volte mi hanno cacciato, altre due mi sono dimesso. All’Atletico Madrid, per esempio: la società era in esercizio controllato, la gestiva un giudice che un giorno mi disse: Ranieri, o vince o la caccio. Gli ho risposto: guardi, me ne vado io. Un giudice non può cacciare un allenatore».

Ha dichiarato lo stesso allenatore ripercorrendo la sua carriera. In Inghilterra quando allenava il Chelsea quando chiedevi in giro informazioni su di lui, sentivi rispondere tutti alla stessa maniera: è una scala di aggettivi che va dal serio, al preparato, al moderato, al tranquillo, al sereno. Signore. Cioè quello che è perché uno lo vede in tv e lo sente che sembra l’anti-Grillo: la parola giusta detta col tono giusto, senza offendere nessuno, per-carità-signora-mia-non-sia-mai. La Juve dice di averlo scelto proprio per quello (…) Col Chelsea, Claudio è diventato global. Gli è piaciuta la vita british anche se continua a ripetere che il pezzo di sé l’ha lasciato a Valencia. Però al Chelsea è entrato nelle radici del club tanto che quando se ne è andato per far spazio a Mourinho, la società non credeva di dover faticare tanto per farlo dimenticare alla gente. A settembre 2004, ha scritto il Mirror, è stata fatta circolare tra lo staff dei Blues una mail in cui si invitava a non menzionare in nessun contesto l’uscita dell’autobiografia di Ranieri, Proud Man Walking. Quasi contemporaneamente, il nome dell’ex tecnico è scomparso dal sito del club e da tutta la pubblicistica ufficiale del club. Secondo il tabloid i vertici dei Blues hanno invitato i propri giornalisti a citare il meno possibile il nome di Ranieri nei loro articoli, nelle trasmissioni di Chelsea Tv così come nei programmi radiofonici di radio station Big Blue. Quando lo ha saputo il mister s’è fatto una risata. Forse c’era rimasto male, ma non si era visto. Ha coperto con un suono caldo. Bello grasso, come quelli che gli si sentono fare ogni tanto in diretta, quando decide di auto-rilassarsi e smettere i panni del paludato e serioso allenatore. Si vede col completo di Pignatelli a rever stretto e cravattino nero e però si vede anche figlio di Mario e difensore che in allenamento a Catanzaro doveva tenere Massimo Palanca e a un certo punto non ce la faceva più. Si vede anche rompiscatole, che è una parola adorata e usata come segno distintivo. Ranieri dopo diverse esperienze non particolarmente esaltanti, in particolare quella di Inter, Monaco e nazionale Greca sembrava un allenatore quasi finito, senza il carattere giusto per poter prendere in mano una squadra grande. La bravura del mister è stata infatti quella di reinventarsi con grande stile, andando ad allenare una squadrata che tutti in UK davano per spacciata quest’anno, con giocatori che sicuramente non si sarebbero potuti definire dei top players. A discapito di tutte le aspettative invece è riuscito ad organizzare la squadra e competere da grande, con un gioco prepotente, ma organizzato. E’ il momento del Leicester. E sicuramente non c’è modo più rappresentativo di parlarne, se non citare la lettera scritta proprio da Ranieri e pubblicata dal “The Players’ Tribune’:
“Mi ricordo il primo incontro col presidente quando sono arrivato al Leicester quest’estate. Si è seduto con me e ha detto: “Claudio, questo è un anno importante per il club. È importante per noi rimanere in Premier League, dobbiamo salvarci”. La mia risposta fu, “Ok, certo. Lavoreremo duramente sul campo di allenamento e proveremo a farcela”.

E’ effettivamente assurdo pensare che l’obiettivo della squadra fosse quello di arrivare a quaranta punti. L’obiettivo fissato dalla dirigenza per ritenersi soddisfatta dell’operato della squadra. Obiettivo calcolato per garantire matematicamente la permanenza in Premier League. Tornando indietro, bisogna ricordare che il 4 aprile dell’anno scorso sarebbe stato impensabile ritrovare il Leicester primo in classifica con 69 punti. L’anno scorso, nello stesso giorno, il club era in fondo alla classifica.
“Ho 64 anni, per cui non esco molto. Mia moglie è con me da 40 anni, così nei giorni liberi, cerco di stare vicino a lei. Usciamo al lago a casa nostra, o se ci sentiamo avventurieri guardiamo un film. Ma alla fine, ascolto il frastuono da tutto il mondo. È impossibile da ignorare. Ho saputo che abbiamo nuovi tifosi in America che ci seguono.

A voi dico: Benvenuti al club, siamo felici di avervi con noi. Voglio che voi amiate il modo in cui giochiamo a calcio, e voglio che voi amiate i miei giocatori, perché il loro percorso è incredibile. Forse avete sentito i loro nomi solo ora. Giocatori che erano considerati troppo piccoli o lenti per altri grandi club. Kantè, Vardy, Morgan, Drinkwater, Mahrez. Quando sono arrivato il mio primo giorno di allenamento e ho visto la qualità di questi giocatori, ho capito quanto bravi sarebbero potuti essere.

Ebbene, sapevo che avevamo la possibilità di rimanere in Premier. Kantè, per esempio, correva sempre così tanto che pensavo avesse un sacchetto di batterie nascosto nei pantaloncini. Non smette mai di correre in allenamento. Ho dovuto dirglielo: “Hey, N’Golo, piano, vai piano. Non inseguire il pallone ogni volta, ok?” E mi dice: “Sì capo, sì. Ok”. Dieci secondi dopo lo guardo e sta correndo ancora. Gli dico: “Un giorno ti vedrò crossare il pallone e colpirlo di testa sempre da te stesso”. È incredibile, ma non è la sola chiave: ci sono molte chiavi da nominare in questa stagione incredibile.

Vardy, ad esempio. Non è un calciatore, ma un cavallo fantastico. Ha bisogno di essere libero in campo. Gli dico sempre: “Sei libero di andar dove vuoi, ma ci devi aiutare quando perdiamo palla. È tutto ciò che ti chiedo. Se inizi a pressare, i tuoi compagni ti seguiranno”. […] […] Prima di ogni partita dico: “Avanti ragazzi, rete inviolata oggi”, e se prendiamo gol, la volta dopo cerco di dare un motivo in più. Come col Crystal Palace, quando ho promesso la pizza per tutti in caso di rete inviolata. E infatti, “clean sheet”. Così li ho portati in pizzeria, ma gli ho detto di farsele da soli. […] Ci mancano sei partite. Dobbiamo continuare a lottare col cuore e con l’anima. Siamo un piccolo club che sta mostrando al mondo cosa si può raggiungere con lo spirito di squadra e la motivazione. 26 giocatori, 26 cervelli diversi, ma un solo cuore.

Pochi anni fa molti miei giocatori giocavano in leghe più basse. Vardy lavorava in fabbrica, Kantè e Mahrez erano nella terza e quarta divisione francese. Ora lottiamo per il titolo. I tifosi che incontro per strada mi dicono che stanno sognando. Io dico “Voi sognate per noi, noi non sogniamo, noi lavoriamo duro”. Non importa cosa succederà alla fine, penso che la mostra storia è importante per tutti i tifosi di calcio del mondo. Dà speranza a tutti i giovani giocatori là fuori che si sono sentiti dire di non essere abbastanza bravi.

Possono dirsi: “Come arrivo al top? Se Vardy e Kantè lo possono fare, posso anch’io”. Cosa gli serve? Un grande contratto o un grande nome? No. Bisogna tenere la mente aperta, così come il cuore, una batteria”.

Andrea Calabrò