Caso Whatsapp: genitori e presidi sul piede di guerra

Di Sebastiano Mura per Social Up!

“Galeotto fu il pidocchio”. Sarebbe proprio il caso di dirlo sentendo le notizie che si rincorrono in questi giorni nei maggiori siti di informazione e che riguardano lo scontro a suon di messaggini ed emoticon tra presidi e genitori di diverse scuole in giro per l’Italia.

Diciamocelo il rapporto tra i rappresentanti dell’istituzione scolastica ed i genitori degli alunni delle scuole non sempre è dei migliori e anzi, negli ultimi anni si sente ripetere sempre come questo rapporto, che dovrebbe basarsi su una reciproca fiducia, non faccia che incrinarsi sempre di più con l’andare del tempo. “Non esistono più gli insegnanti di una volta” tuonano i genitori; “non esistono più i bambini di una volta” e  infatti “non esistono più nemmeno i genitori di una volta” rispondono insegnanti e personale scolastico. Vero se si pensa che queste tre categorie hanno “incredibilmente” un qualcosa di fondamentale in comune: sono tutte persone e forse, molto più semplicemente, “non esistono più le persone di una volta”.

La pietra dello scandalo è questa volta l’utilizzo improprio che alcuni genitori avrebbero fatto di un mezzo altrimenti assolutamente innocuo (per quanto fastidioso come poche cose al mondo, ma questo è un altro discorso), le chat di gruppo su Whatsapp. Insulti, critiche feroci, dubbi, battutine fuori luogo e, incomprensione dopo incomprensione, scoppia il caso nazionale. Le chat nate per fornire un supporto informativo alle famiglie che, oggi come ieri, vogliono avere sempre sott’occhio l’operato dei figli (e, oggi soprattutto, degli insegnanti), diventano una fucina di insofferenza generale nei confronti di un sistema che, si sa in Italia, non funziona proprio benissimo.

Vai allora di lamentele per i favoritismi al figlio di Tizio e alla figlia di Caio, vai con le battutine sul compagno di banco del proprio figlio, del quale si mette in dubbio anche la capacità dei genitori di saperne gestire l’educazione, vai con le critiche feroci alla severissima Preside dell’istituto, alle considerazioni sullo stato di igiene dei compagni di classe (vedi diffusione di pidocchi) e sulla struttura generale di dove “i nostri figli sono costretti a studiare”. Accompagnate il tutto con emoticon lanciate lì a caso giusto per far vedere che “nel gruppo ci sono anche io”, qualche ricetta della torta di compleanno dell’anno scorso che una mamma aveva promesso ad un’altra “ma se ne era scordata”, le battutine del solito papà che fa il simpaticone ricordando le “esilaranti” goliardate di quando era lui lo studente in classe, ed avremo servito un disastro annunciato.

Le chat di Whatsapp sono capaci di distruggere famiglie, coppie, amicizie decennali. Se i membri del Consiglio Europeo avessero avuto una chat di gruppo, l’Europa non esisterebbe già più. Perché portarle anche a scuola? Perché fa più moderno parlare con gli altri genitori via smartphone anziché scambiare due chiacchiere all’uscita di scuola dei rispettivi figli? Perché le riunioni genitori alunni, diciamoci la verità, non sono mai andate giù a nessuno?

Il rapporto tra genitori e insegnanti risulta in questo modo messo ancora più a rischio, con gli ultimi costretti a rendere conto di ogni minima differenza di comportamento o atteggiamento nei confronti di ogni singolo diverso studente, come se gli studenti nei suoi confronti, si comportassero tutti allo stesso modo. Con genitori sempre troppo distratti per stare attenti all’operato dei figli (“che sono soltanto dei ragazzi”) ma magicamente super precisi nel tenere conto di ogni minima mancanza nel settore scolastico.

Non si tratta di un problema di mezzo, ma di uso del mezzo. L’abbiamo sentito mille volte ma la verità è che siamo un paese in cui “l’erba del vicino è sempre più verde, fino a che non pesti quella del mio giardino”. Siamo sempre meno capaci di accettare le critiche, di reagire in maniera costruttiva e senza cercare sempre e comunque di scaricare le colpe sugli altri innescando meccanismi a domino al suono di “è compito tuo”, “non è colpa mia”, “la responsabilità è tua”, ecc.

“Ogni scarrafone è bello a mamma sua” e guai a toccarglielo, ma ci preoccupiamo mai di quanto “e bello per gli altri”? Le mancanze esisteranno da entrambe le parti, i problemi pure. Ma affidare il confronto tra due parti ad un mezzo che di per sé si presta molto facilmente al fraintendimento non sembra proprio la migliore delle scelte. Sembra sensata quindi la scelta dei presidi che lasciano libertà assoluta ai genitori ma chiedono agli insegnanti di restarne fuori. In questo modo se anche si volesse pestare l’erba del vicino (insegnate o altro genitore che sia) almeno ci si dovrebbe guardare in faccia.