Carbonia Film Festival 2020: Working Girls e i vincitori della rassegna

Si è conclusa giorno 11 ottobre l’edizione 2020 del Carbonia Film Festival. Rassegna di cinema dedicata ai temi del lavoro e della migrazione. Nato nel 1999 si svolge ogni due anni nel sud ovest della Sardegna, a Carbonia, città costruita come luogo per ospitare il lavoro e i lavoratori giunti da ogni dove, città simbolo del percorso doloroso, ma anche di riscatto attraverso cui queste persone hanno affermato la propria dignità.

Questa edizione è stata caratterizzata dalla possibilità di visionare i film in concorso anche tramite la piattaforma on line dedicata.”Based on a True Story” (2019) il lungometraggio vincitore. Tra i premiati anche Overseas (2019) Premio Ucca e Bloody Nose Empty Pockets (2020) Premio del Pubblico.

Tra i film disponibili on line da noi visionati: “Working girls” (Filles de Joie), del 2020, diretto da Frédéric Fonteyne, e Anne Paulicevich, di cui parliamo in questo articolo.Come dichiarato dalla co-regista e attrice Anne Paulicevich nell’interessante videointervista visionabile sul sito del festival , si tratta di una pellicola di finzione che ritrae la vita di tre donne che lavorano in una casa di prostituzione in Belgio, finzione modellata su vite reali di donne che si recano ogni giorno in macchina in una casa dei piaceri.

Working Girls: al Carbonia Film Festival è di scena la sorellanza

Lontano dal voler essere aprioristicamente una condanna alla prostituzione intrapresa da tali donne,  che delle prestazioni sessuali a pagamento hanno scelto di fare il proprio lavoro, di certo costrette anche dall’impossibilità di guadagnare altrimenti, il film affronta senza fronzoli, facili moralismi né sconti il difficile tema, e sceglie di concentrarsi sul racconto dei drammi personali delle donne protagoniste piuttosto che soffermarsi sul contesto in cui questi si volgono, o sul fenomeno della prostituzione in generale.

Quali sono le realtà con cui si devono confrontare giornalmente queste donne, che lavorano in un bordello, aperto ai clienti in tutte le ore del giorno?  Questa è la domanda principale che si pongono gli autori del film ed è maturata come si diceva in seguito ad un contatto diretto con donne reali che vengono pagate per le loro prestazioni sessuali.

La pellicola si concentra infatti sulle storie individuali delle donne, per lo più al di fuori del bordello in cui esse lavorano, mostrando come la loro vita familiare, la loro stabilità economica, psicologica, emotiva e sessuale sia difficile, drammatica, segnata dall’incertezza e dalla possibilità di naufragare in qualsiasi momento.

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Attraverso una “staffetta” narrativa, che porta ad incrociare i punti di vista delle donne,  i registi ci raccontano la soggettività  delle protagoniste, da Axelle (Sara Forestier) che ha carico una famiglia di tre figli piccoli e un ex marito violento che la perseguita, a Conso, Annabelle Lengronne , giovane prostituta che sogna di sposarsi con un suo cliente; fino a Dominique (Noémie Lvovsky), la donna che gestisce il bordello e che ha serie problematiche relazionali con i suoi figli e suo marito, oltre a nascondere un lato oscuro non indifferente. Il dramma è dietro l’angolo, quasi una conseguenza inevitabile.

Film al femminile, che ignora deliberatamente il punto di vista maschile sul tema (come dichiarato nella videointervista alla regista), Working girls funziona lì dove unisce finzione e storie reali, senza pretendere di essere vessillo di denuncia: la funzione è un’altra, quella di essere un racconto cinematografico di storie individuali, affidando ad attrici le parole e le storie di donne che nella realtà svolgono il mestiere di prostitute, rappresentando così indirettamente il loro punto di vista.

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Un film da intendere quindi come un portfolio di alcune storie femminili legate al mondo della prostituzione. La provocazione del finale è voluta, quasi un rovesciamento dei ruoli, che vuole essere un po’ una variazione sui cliché cinematografici.

 

Francesco Bellia