Anatoly Onoprienko, il terminator ucraino

“La prima volta che ho ucciso avevo poco più di vent’anni. Ero nei boschi e sparai a un cervo. Ricordo che, mentre lo guardavo morire, mi sentivo sconvolto, non capivo perché lo avevo fatto e mi spiaceva per lui. Non ho mai più provato un sentimento simile”.

Per Anatolij Onoprijenko la carriera di assassino inizia con il cervo ammazzato nei boschi vicino a casa, un delitto che nessun tribunale di uomini prenderebbe mai in considerazione. Il primo delitto che rientra nei comuni canoni di comprensione risale al 1989 quando Anatoly incontra Sergei Rogozin nella palestra dove entrambi vanno ad allenarsi. I due diventano amici, cominciano a passare diverso tempo assieme prima e dopo gli allenamenti e non è difficile immaginare due trentenni insoddisfatti della vita e scaldati dalla vodka cercare espedienti sempre più pericolosi per incrementare le loro magre entrate.

Decidono infine di cominciare a rapinare le case di gente un po’ meno povera di loro.
Una notte, mentre stanno rubando in una casa isolata e fuori città, vengono scoperti dai proprietari. Anatoly e Sergei sono armati e capiscono che per non finire in prigione e far sparire le loro tracce devono uccidere tutti quelli che si trovano in casa. E così faranno: quando se ne vanno lasciano a terra due adulti e otto bambini.

Anni dopo, una volta arrestato, Anatolij dirà agli investigatori che, pochi mesi dopo lo sterminio, rompe ogni rapporto con Sergei e si dedica a una strage solitaria.
Spara a cinque persone che dormono all’interno di un’auto, una Lada, compreso un bambino di undici anni e brucia i loro corpi, ma la cosa non gli dà nessuna soddisfazione.

“Mi ero avvicinato solo per rubare, se avessi saputo che c’erano cinque persone là dentro, me ne sarei andato. I cadaveri sono brutti, puzzano e sprigionano cattive vibrazioni. Dopo aver ucciso la famiglia nella macchina, rimasi seduto là dentro con i loro corpi per due ore. Non sapevo cosa farne e l’odore era insopportabile”.

Dopo gli omicidi, Anatoly va a vivere e a lavorare insieme a un lontano cugino. Non uccide più, almeno fino al 24 dicembre 1995, quando la carneficina ha nuovamente inizio.

Il 24 dicembre 1995, a Gamarnya, un villaggio dell’Ukraina centrale, Anatoly Onoprienko irrompe con il suo fucile a canne mozze nella casa della famiglia Zaichenko. Uccide il capofamiglia, un insegnante di silvicoltura, la moglie e i loro due bambini. Strappa alle vittime le fedi, una catenella con un piccolo crocifisso dorato, gli orecchini, porta via anche un fagotto di vestiti vecchi.
Prima di abbandonare la scena del crimine, incendia la casa.

“Gli ho solo sparato. Non mi ha dato piacere, ma ho sentito questo impulso e l’ho fatto. Da allora in poi, è stato tutto quasi come un gioco governato dallo spazio esterno”.

Anatoly sente le voci, lo spiegherà anni più tardi agli investigatori e agli psichiatri che tenteranno di penetrare i misteri della sua testa, sente le voci da quando suo padre lo ha abbandonato ed è sopravvissuto forse proprio grazie a quelle voci, che prima gli hanno fatto compagnia e adesso gli ordinano di uccidere.

A Bratkovichi, il 2 gennaio 1996, solo nove giorni dopo, ammazza a colpi di fucile i quattro componenti della famiglia Kryuchkov e brucia la loro casa. Mentre scappa viene visto da un vicino, il signor Malinsky: Anatoly non esita e gli spara per strada.


“Per me era come cacciare. Me ne stavo seduto, annoiato, senza niente da fare e improvvisamente l’idea entrava nella mia testa. Avrei voluto fare qualcosa per cacciarla dalla mente, ma non potevo, era più forte di me. Così montavo in macchina, o prendevo un treno e andavo a uccidere”.

I giornali cominciano a chiamarlo Terminator e le voci gli ordinano di tornare a Bratcovichi. Il 17 gennaio 1996 Anatoly massacra tutta la famiglia Pilat, anche un bambino di sei anni, poi dà fuoco alla casa e uccide a sangue freddo un uomo e una donna, possibili testimoni. Poco dopo, il 30 gennaio, a Fastova spara all’infermiera Marusina, ai suoi bambini e a un amico. Anatoly non può fermarsi, che lo voglia o no è ormai ossessionato dall’idea di uccidere.

Il 27 febbraio 1996 Anatolij va a Malina, Lvivskaya Oblast, e penetra nella casa della famiglia Bodnarchuk. Come sempre usa il fucile sul marito, la moglie e le loro figlie di sette e otto anni, prima di andarsene, però, probabilmente si accorge che le bambine sono ancora vive, così prende un’ascia e finisce il lavoro. Solo un’ora dopo uccide e mutila in casa sua un vicino che forse avrebbe potuto riconoscerlo, lo fa con la stessa ascia usata per le piccole Bodnarchuk.

Viene formata una task force per la ricerca della casa di Onoprienko e dopo un’ora, una ventina di poliziotti e detective si ritrovano in via Ivana Khristitleya dove è situato l’appartamento di Anna, una parrucchiera di Yavoriv, e dei suoi due figli. Anna e i bambini non sono in casa, sono andati in chiesa e Anatoly li sta aspettando a minuti, per questo, quando la polizia suona alla sua porta, apre senza alcun sospetto e preso alla sprovvista, viene rapidamente bloccato e ammanettato.

L’investigatore Bogdan Teslya disse: “Vuoi parlare con un generale? Ti porterò il tuo generale, ti porterò dieci generali, se vuoi. Ma se te lo porto e tu non hai niente da dirgli? Perché, forse, non c’è niente da dire.”
L’uomo seduto di fronte lo guardò.
“Non preoccuparti. C’è di sicuro qualcosa da dire”.

E quando Anatoly Onoprienko cominciò a parlare, la sua confessione fu una di quelle che non si possono dimenticare. Una storia folle di crimine e morte che ha portato quell’uomo a diventare con tutta probabilità il più letale serial killer di sempre dell’Ucraina.

redazione