Altered Carbon: cosa è andato storto (e cosa no)?

Altered Carbon è l’iper-pubblicizzata serie Netflix tratta dal romanzo Bay City di Richard K. Morgan, uscita il due febbraio. La serie è creata da Laeta Kalogridis, e ripropone uno scenario cyberpunk sull’onda di produzioni come il film Blade Runner 2049 e la serie Philip K. Dick’s Electric Dream.

Il discusso risultato è un prodotto buono e ben confezionato, i cui difetti però risaltano come luci al neon nella pioggia all’interno della nostra golden age della serialità, fatta di intrecci coraggiosi, tuffi profondi negli angoli nascosti dell’umanità e personaggi dal carisma scintillante.

Per capirne di più, conosciamo meglio il mondo di Altered Carbon e quello del tormentato protagonista: l’ultimo Envoy, Takeshi Kovacs.

Make it personal: Bay City

L’umanità ha oltrepassato i limiti terrestri grazie all’esplorazione spaziale, e quelli della propria aspettativa di vita grazie ai relitti della tecnologia di alieni noti come Elders, grazie a cui è stato possibile digitalizzare la mente umana – chiamata a quel punto DHF: Digital Human Freight.

Il DHF può essere scaricato in un supporto fisico – Stack, o “pila” corticale in italiano – installato in ogni cittadino del Protettorato all’età di un anno.

Quando un corpo muore, si può estrarre lo stack e installarlo su un nuovo corpo disponibile. La persona viene così infilata in una nuova “custodia” (sleeve): così ci si riferisce ai corpi umani nell’era della quasi-immortalità.

È possibile, volendo, conservare una pila corticale senza “ricustodirla”, una procedura attuata ad esempio sui prigionieri riconosciuti colpevoli di crimini gravi, tenuti “sotto ghiaccio” (on ice) o “in magazzino” (in the store). Si possono anche scaricare i DHF in pile a distanza, e – per quanto sia illegale – scaricare due versioni della propria personalità in due corpi diversi.

Le nuove custodie possono essere corpi biologici la cui personalità è attualmente on ice, corpi sintetici detti synths o – per i più ricchi – cloni delle custodie originali, magari migliorate in laboratorio.

I Meth – da Methuselah, Matusalemme – sopravvivono ormai da secoli grazie alle loro ricchezze ed eseguono persino backup della mente a cadenza regolare per non rischiare di morire davvero accidentalmente.

La gente “normale”, invece, viene ricustodita con fondi pubblici solo in caso di morte violenta – e nel primo corpo a disposizione, qualunque esso sia. Altri risparmiano per ricustodire i propri cari estinti per poche ore, in occasione delle feste in famiglia.

Sotto alle residenze celesti dei Meth, odiati o venerati come dei, la sporca umanità qualunque si districa tra violenza gratuita, un traffico di corpi più crudele che mai, Intelligenze Artificiali ossessionate dai loro clienti umani come “fidanzate psicopatiche” e una Realtà Virtuale usata tanto per ospitare le coscienze disincarnate quanto per le peggiori torture.

A match made in hell: Takeshi Kovacs

Molto tempo fa, un gruppo di guerriglieri altamente addestrati si opposero alla diffusione della tecnologia degli stack: la loro comandante Quellcrist Falconer aveva visto l’ingiustizia e la disumanizzazione che ne sarebbe derivata, e aveva deciso di dire no.

Questi erano gli Envoy, eliminati con gelida determinazione nella battaglia di Stronghold e ricordati come terroristi ormai del tutto estinti. Con un’eccezione.

Takeshi Kovacs è sopravvissuto ed è diventato un mercenario, almeno finché non è stato preso. Quindi è stato tenuto sotto ghiaccio per duecentocinquant’anni…

Poi, qualcuno ha sparato a un uomo molto ricco.

Laurens Bancroft è stato ucciso con un’arma accessibile solo a lui e a sua moglie Miriam, ma è convinto che il colpevole sia un altro; per scovarlo, ha bisogno di qualcuno che veda dettagli invisibili agli altri e sopravviva al peggio dell’alta e della bassa società di Bay City.

Così dona un nuovo corpo a Takeshi Kovacs, l’ultimo Envoy, che ha combattuto fino allo stremo per impedire che uomini di potere come Bancroft diventassero una realtà.

Takeshi è accompagnato da una serie di comprimari.

C’è Poe, l’Intelligenza Artificiale dell’hotel Raven: protettivo, inquietante e buffo allo stesso tempo.

Ci sono la sorella di Takeshi Reileen e la sua vecchia leader Quellcrist, che tornano alla sua mente come allucinazioni.

C’è Vernon Elliott, ex marine devastato dalla perdita della figlia, disincarnata e traumatizzata dal proprio omicidio.

Infine c’è Kristin Ortega, poliziotta che si occupa di Danni Organici e ha una pletora di motivi per non fidarsi di Takeshi Kovacs né del suo capo – anzi, proprietario – Bancroft.

Take what is offered: debolezze e punti di forza

Il tallone d’Achille di Altered Carbon non è difficile da individuare: viviamo in tempi in cui la fantascienza più critica prende in esame singoli temi da approfondire fino al midollo, come nel caso delle prime stagioni di Black Mirror.

Qui, invece, si cerca di combinare in soli dieci episodi una reincarnazione digitale politicizzata, i conflitti etico-religiosi legati al concetto di DHF, un classico poliziesco hard-boiled, il terrore e le possibilità della realtà virtuale, più di un damma familiare e il viaggio personale di un mercenario che combatté dalla parte dei perdenti – cosa che, per quanto il libro sia molto antecedente, sullo schermo non può che far venire nostalgia di Firefly.

Ogni inciampo nel difficile lavoro di mescolare tutti questi ingredienti va a danneggiare la percezione della storia, per quanto – vale la pena ripeterlo – questa arrivi alla fine con una certa grazia.

Ma c’è qualcosa da salvare, in questo benedetto telefilm? Altroché.

Innanzitutto, il setting funziona: lo spettatore viene catapultato nella fantascienza anni Ottanta a ogni viaggio di Kovacs nei peggiori locali di Bay City.

In secondo luogo, al di là degli inverosimili addominali di Joel Kinnaman, tutte le incarnazioni attoriali di Takeshi Kovacs hanno svolto un buon lavoro nel portare sullo schermo un personaggio con un carisma costante ma sempre diverso.

Infine, Poe: l’Intelligenza Artificiale del Raven, interpretata da Chris Conner, è una vera delizia nella sua capacità di combinare umorismo, badassery di prim’ordine e un’autentica, curiosa empatia per l’umanità; lo amerete dalla prima all’ultima apparizione, anche quando il resto vi farà storcere il naso.

Ma insomma…

Vale la pena di guardarlo o no, anche comodamente collegando Netflix alla vostra Tv seguendo questa guida, questo Altered Carbon?

Sì..In tre casi.

Il primo: se avete qualcos’altro da fare. Nell’era del binge watching ci sono serie a cui stare incollati con tutta la propria attenzione; per godersi questa, invece, l’ideale è avviare Netflix mentre si cucina o si conclude un lavoro noioso: i protagonisti, l’ambientazione e una sana dose di sesso e violenza vi strapperanno la noia di dosso in men che non si dica.

Il secondo: se il rischio che si trascuri qualcosa nel complicato intreccio di molte trame e molti temi non vi preoccupa, anzi vi affascina, allora il maggiore difetto che il grande pubblico ha avvertito in Altered Carbon potrebbe trasformarsi in un pregio per voi.

Il terzo: se apprezzate più la costruzione di un mondo interessante che una struttura narrativa pulita in sé e per sé, allora dedicate un po’ del vostro tempo a questa serie. Non ve ne pentirete.

Inoltre, Michael Eklund interpreta un criminale con tendenze molto violenze, il che è sempre un piacere da guardare.

Riccardo Rossi