Come ormai riportato da ogni media, Donald Trump ha dichiarato l’uscita degli USA dagli accordi universali sul clima mondiale ratificati il 12 dicembre 2015 a Parigi (accordi altresì dominati COP21). Senza entrare nel merito della scelta effettuata dal neo-presidente statunitense – giusta o sbagliata che sia -, noi di SocialUp vogliamo andare ad evidenziare quali siano state concretamente le decisioni sottoscritte nella conferenza parigina dai 195 Stati partecipanti.
In occasione degli accordi di Parigi, resi poi ufficiali il 4 Novembre 2016 in seguito alla ratifica dell’Unione Europea, i 195 Stati – considerando ancora gli USA, che se però dovessero confermare la decisione andrebbero a raggiungere gli altri due paesi non allineati con gli accordi: Siria e Honduras – si sono infatti posti l’obiettivo di:
- limitare l’aumento della temperatura globale a 1.5 °C e ben al di sotto dei 2°C a lungo termine, così da ridurre drasticamente gli impatti e i rischi dei cambiamenti climatici. L’IPCC, gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ha infatti previsto un aumento della temperatura globale entro la fine del XXI secolo tra 1.4 e 5.8°C
- riunirsi ogni cinque anni per rivedere man mano agli accordi di pari passo con i progressi scientifici, con un continuo aggiornamento dei piani nazionali di azione per il clima (INDC)
- fornire ai paesi in via dello sviluppo, e che man mano si stanno staccando dal cosiddetto Terzo Mondo, un sostegno internazionale comune più continuo e fornire alle società private stesse le capacità di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici
- mobilitare a livello complessivo un massimo di 100 miliardi di dollari entro il 2020 per andare a soddisfare gli scopi soprastanti
- rafforzare il ruolo e la responsabilità degli enti regionali e locali a riguardo; essi sono infatti invitati a ridurre le emissioni e a cooperare fortemente sia a livello regionale sia a livello internazionale
I precedenti
Gli accordi di Parigi non sono il principale concordato raggiunto a livello mondiale riguardo la situazione climatica. Ancor più significativo è stato infatti il Protocollo di Kyoto: redatto l’11 dicembre 1997 e poi entrato in vigore il 16 febbraio 2005, l’accordo firmato da 180 Paesi prevede la riduzione media mondiale delle emissioni dell’8.65% rispetto al 1985. Il protocollo è un prodotto delle varie Conferenze delle Parti (COP) realizzate tra i vari Stati proprio riguardo l’argomento clima, in seguito alla costituzione della UNFCCC: Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, anche conosciuta come Accordi di Rio, firmati il 4 Giugno 1992 e che avranno poi come prodotto principale proprio il Protocollo di Kyoto.
Per quanto riguarda lo specifico caso statunitense, il piano nazionale presentato da Obama prevedeva una drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica: del 26/28% entro il 2025 e del 50% entro il 2050. Il solo abbandono statunitense potrebbe scatenare un aumento della temperatura globale di quasi 2°C in più rispetto all’aumento attuale che si attesta sulla media di 1°C. Alla base della decisione di Trump ci sono motivi prevalentemente economici, soprattutto l’accusa che gli accordi favoriscono l’economia di altri Stati piuttosto che quello statunitense, Stato leader nella produzione industriale e che sarebbe appunto sfavorito dagli scopi ratificati a Parigi. Ha infatti affermato il neo-presidente: “Abbiamo bisogno di tutta l’energia possibile per mantenere negli USA posti di lavoro e crearne altri, per crescere del 3\4% soprattutto a livello manifatturiero”.
La decisione di Trump – che non è esclusa possa essere presa da esempio da molti altri Paesi, soprattutto quelli appartenenti al Terzo Mondo come Filippine e Malesia – ha suscitato diverse spaccature sia a livello internazionale sia negli Stati Uniti stessi. Se Obama ha affermato “Sono confidente che le nostre città faranno un passo in più per aiutare a proteggere per le future generazioni l’unico pianeta che abbiamo”, geniale è stata l’affermazione del nuovo presidente francese Macron: “Make our planet great again”, in risposta al frequente diktat di Trump “Make America great again”. Una decisione che ha provocato e provocherà diversi sconvolgimenti.