Ungaretti e i suoi intramontabili versi

Un poeta, molte patrie, molti versi. Giuseppe Ungaretti è stato uno dei massimi poeti della poesia italiana del Novecento. Le sue poesie sono corte, è vero, ma hanno più significato di molte altre lunghe opere della letteratura. Giuseppe Ungaretti è stato un vero e proprio genio del Novecento. Ma che cosa c’è dietro al “Mi illumino d’immenso“? Forse buona parte di voi non sa che questa poesia che tutti vanno in giro millantando di sapere a memoria (grazie, giovani: sono quattro parole!) ha anche un titolo che è “Mattina” e sono stati spesi fiumi e fiumi di inchiostro per commentare questi soli due versi. Così famosa che è diventata addirittura ispirazione per l’iniziativa “Mi illumino di meno”, finalizzata a sensibilizzare il risparmio energetico. Ma Ungaretti non pensava di certo alla corrente elettrica: scopriamo insieme che cosa voleva comunicarci…

Di questa poesia / mi resta / quel nulla / di inesauribile segreto
(“Il porto sepolto”, vv. 4-7)

Apolide “per professione”, nasce in Egitto da genitori lucchesi nel 1888, partecipa alla prima guerra mondiale e sono famose le sue testimonianze in versi dell’esperienza bellica (fra le tante “Veglia” e “San Martino del Carso”). Si forma in Francia in cui riceve i primi contratti artistici. Ungaretti descrive la Francia come un ambiente in cui si può essere protagonisti di un fervente clima culturale. Ma l’Italia è nel suo sangue: il padre, morto dopo due anni, era operaio al cantiere del Canale di Suez e la madre dovette farsi carico del piccolo Giuseppe gestendo il patrimonio familiare per poter garantire una buona istruzione al giovane che arrivò a frequentare una delle più prestigiose scuole alessandrine.

“non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita”
(“Veglia”, vv. 14-16)

Infine arriva in Brasile: Ungaretti giunse a San Paolo, dove ha risieduto fra il 1937 e il 1942 e ha insegnato letteratura italiana all’università. In questo modo, nel paese del carnevale di Rio, si esaurisce la figura di Ungaretti: il poeta-viaggiatore e il poeta-professore che si riassumono nella sola figura dell’uomo che conosciamo oggi. E’ stato l’esempio vivente dello “sradicato” si del Novecento. Un erede di Alfieri. Il protagonista di un viaggio che è simbolo di ricerca dell proprie radici, dunque radici poetiche, un “novello Petrarca“. Un poeta che viaggia con gli occhi del cuore e non con le gambe. Questo è Giuseppe Ungaretti.

“E qui meglio / mi sono riconosciuto / una docile fibra / dell’universo”
(“I fiumi”, vv. 28-31)

 

“La memoria non svolge che le immagini”
(“Se tu mio fratello”, v. 9)

Poeta di rara sensibilità, autore eccezionale che ha riproposto quello che da tempo sembra perduto: la poesia pura. La raccolta “Allegria”, o “Allegria di naufragi“, è un caposaldo della letteratura italiana nel quale Ungaretti utilizza la poesia come cerniera fra la sofferenza della guerra e la voglia di rinascere. Quello che nei manuali di storia letteraria è riconosciuta come “scarnificazione del verso ungarettiano” sta proprio in questo: Ungaretti, attraverso la sua metrica libera, senza alcuni vincoli metrici sottesi ad un classico ragionamento anteriore all’epoca di Leopardi (che, guarda caso, è uno degli autori preferiti da Ungaretti insieme al già citato Petrarca e il francese Mallarmè), vuole rendere restituire al lettore un messaggio originale. E chi meglio del poeta Ungaretti è in grado di raggiungere quel “porto sepolto” per portare alla luce la vera essenza del vivere umano?

“Di che reggimento siete / fratelli?”
(“Fratelli”, vv. 1-2)

Il poeta soldato. Quasi paradossale a come in guerra un uomo riesca a pensare alla poesia. Macerie e commilitoni dal volto dilaniato dalle nuove armi della prima guerra mondiale. Questo è un aspetto della guerra che nessuno conosceva, un aspetto consegnato dal grande poeta Giuseppe Ungaretti.

“Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”
(“Soldati”)