Transfert: Massimiliano Russo e il gioco di specchi dello psicoterapeuta

Opera prima del regista catanese Massimiliano Russo, Transfert è un thriller psicologico costruito su una paziente e consapevole sceneggiatura, che attraverso una narrazione ad incastro e un continuo gioco di specchi, reso non in modo altisonante, ma mascherato con abilità ed eleganza dal regista, crea un solido ed intrigante intreccio . Un genere cinematografico e uno stile quello di Russo che sono più vicini al cinema internazionale che non a quello italiano.

Proiettato in sala nell‘Area Movie durante l’Etna Comics 2018, Transfert ha riscontrato grande successo di critica e di pubblico già durante le anteprime catanesi. Il film è attualmente proiettato in sale cinematografiche di tutta Italia.

La trama in breve. Il protagonista del film, un giovane piscoterapeuta competente e molto sicuro di se (Alberto Mica), ma alle prime esperienze lavorative, si ritrova a confrontarsi con diversi casi, tra cui quello di due sorelle in forte competizione tra loro, che egli accetta entrambe in terapia. Questa scelta, sconsigliata dal suo supervisore, unita alla strana attività di un altro dei suoi pazienti che comincia a registrare di nascosto tutte le sedute che si tengono nello studio non sono che i primi passi verso complicazioni sempre più insidiose e deleterie, sia per il protagonista che per chi frequenta le sedute.

La sceneggiatura di questo film assume il meccanismo del transfert psicologico come fondamentale motore narrativo. Molti personaggi della pellicola, infatti, trasferiscono le loro emozioni e i loro pensieri su altri, che diventano in questo modo dei loro alter ego: si va dal transfert tra le due sorelle che sono “l’ una lo specchio dell’altra” (Paola Roccuzzo, Clio Scirà) a quello tra gli psicoterapeuti.

Il gioco si frammenta e complica con la figura del paziente che spia e ascolta le sedute altrui, un vero e proprio “fomentatore di transfert” che manderà in tilt le già precarie basi della professione del protagonista. Numerosi i colpi di scena in una struttura del racconto, che mette continuamente in discussione se stessa. Lo stile registico di Russo è essenziale, a tratti algido come le elucubrazioni dei protagonisti. Alle scene girate all’interno dello studio il regista alterna sequenze che riprendono la città di Catania, in cui è interamente girato spesso sotto un cielo plumbeo, in una fotografia di colori e ambienti cupi, tra cui la metropolitana.

A parte questi intermezzi la maggior parte del film è girata in interni e ovviamente trattandosi in un film che parla di psicoterapia prevalgono i dialoghi. Nel riprendere questi ultimi il regista fa spesso uso della messa a fuoco con cui oscura o pone l’attenzione su taluni dei personaggi piuttosto che su altri. Spesso inoltre una parte dello schermo è occupata da oggetti che diminuiscono la grandezza dell’inquadratura, o addirittura la coprono per brevi attimi. Questa scelta di rendere sfocate parte delle inquadrature e di “velarle” è in linea con l’idea che l’identità di chi sta parlando sulla scena venga continuamente messa in discussione, non in modo eclatante, ma sotterraneo, come le dinamiche psicologiche dei personaggi del film.

Per quanto riguarda i temi della pellicola. Al centro quello della frammentazione dell’io, ma anche quello del potere del condizionamento, che di fatto è in mano allo psicoterapeuta, il quale, se abusa del suo ruolo può davvero distruggere la mente di chi si è affidato alle sue cure. Il ruolo della psicoterapia, in cui all’inizio il protagonista sembra credere ciecamente, come farebbe uno scienziato che ripone fiducia in un metodo inattaccabile, ben presto diverrà ambiguo e fallace, addirittura ingannevole. Con abilità il regista lavora sulle contraddizioni e le alimenta sovrapponendo tra loro diversi piani. Lo stile registico non è onirico: non punta tanto sulla rappresentazione dell’inconscio, nonostante se ne parli. Si concentra piuttosto sulla razionalità del protagonista: massima quando questi è nel suo studio, per lui una sorta di rifugio-trappola; ben più fragile quando egli si trova nel mondo esterno, che proprio per questo motivo è ripreso come una realtà disordinata e oscura. Con queste alternanze il film diviene un transfert dentro un transfert, una razionalità che fagocita se stessa, fino diventare caoticamente pericolosa perché delirante.

Indubbiamente siamo di fronte ad un esordio molto promettente e originale per il cinema italiano, che raramente adotta questo taglio psicologico. Ancor di più per il cinema siciliano dato che il film è interamente girato a Catania. Un thriller psicologico equilibrato e senza eccessi, che punta tutto sulla sceneggiatura seguendola fino in fondo, senza sbavature.

Francesco Bellia