Rina Fort: la strage di Via San Gregorio 40

L’ Italia intera da Nord a Sud, da Est ad Ovest, è percorsa da un fiume di tradizioni, usanze e superstizioni che hanno, nel tempo, caratterizzato il folklore nazionale. In ogni regione, città, paesino troveremo sempre un castello infestato, una casa in rovina abitata da spiriti, racconti di monacelli, gnomi e presenze magiche. Tuttavia, molti di loro saranno noti per altre tragiche vicende, passate alla storia come delitti terribili e orridi, commessi dal più temibile dei nemici: l’uomo stesso.

Oggi noi di Social Up vi racconteremo il primo grande delitto dell’Italia del dopoguerra che, per crudeltà e assurdità, colpì molto l’opinione pubblica del tempo, tanto che anche lo scrittore Dino Buzzanti si occupò della questione sul Nuovo Corriere della Sera, nonostante non scrivesse più di cronaca. Un racconto noir di altri tempi in un’Italia impegnata nella propria ricostruzione materiale e morale. Un giallo nostrano che mostra la parte oscura dell’essere umano: ecco che cos’è il delitto di Via San Gregorio 40.

VIA SAN GREGORIO

Milano, zona Porta Venezia. 30 novembre 1946. Via San Gregorio non era proprio quello che si dice, un quartiere perbene: durante la Seconda Guerra Mondiale era diventato un centro attivo della borsa nera e del contrabbando che neanche la fine del conflitto era riuscito a sradicare. Proprio in questa zona, abitata in prevalenza da meridionali, viveva il catanese Giuseppe Ricciardi, un commerciante “di guerra” che stava risentendo della fine dei tempi degli affari d’oro. Sposato con Franca Pappalardo, con la quale aveva 3 figli, Pippo, come erano soliti chiamarlo, non era a Milano quel giorno e per questo avrebbe aperto la commessa il negozio.

LA SCOPERTA DELLA TRAGEDIA

All’arrivo della donna, la porta di casa Ricciardi era socchiusa ed uno strano silenzio avvolgeva l’abitazione: non si udivano né le risate di Giovannino e Giuseppina, né il pianto del piccolo Antoniuccio di appena 10 mesi. Silenzio e freddo, tanto freddo. La scena che le si presentò davanti fu terribile: a terra giaceva, in una pozza di sangue, il piccolo Giovannino; poco distante sua mamma Franca, con la pelliccia e la sottana alzata e senza una scarpa; Giuseppina e Antonuccio vennero ritrovati in cucina. Tutti morti.

 

LA SCENA DEL CRIMINE

La polizia stabilì che il delitto doveva essere stato commesso intorno alle 21 della sera precedente. Nonostante la casa fosse sottosopra e mancavano alcuni gioielli, l’idea di una rapina finita male non convinceva. Perché uccidere dei bambini indifesi e soprattutto Antoniuccio, che di certo non avrebbe raccontato nulla dell’accaduto? No, la storia dei ladri non aveva senso. Si doveva cercare una donna perché solo una donna innamorata e gelosa poteva aver commesso un delitto così atroce. Inoltre, appartenevano ad una donna le ciocche di capelli neri che Franca stringeva tra le mani.

LE INDAGINI

Ben presto la polizia ebbe il quadro completo della famiglia siciliana: Franca era tornata solo di recente a Milano con i figli, poiché sospettava il tradimento del marito. Indagando nella vita del Ricciardi, non fu difficile scoprire la sua verve da don giovanni ed il nome della sua amante, una certa Caterina Fort, una donna di 31 anni che aveva preso le redini dell’azienda e l’aveva salvata dal fallimento. L’interrogatorio di Rina Fort durò 17 ore: inizialmente, negava tenacemente di essere l’amante di Pippo e di aver qualcosa a che vedere con il delitto. Tuttavia, dopo tutte quelle ore, fu costretta a cedere: si, era stata lei ad uccidere Franca e i suoi bambini.

I PRIMI ARRESTI

Contrariamene alla prima deposizione, negli interrogatori successivi, la Fort aveva confessato che gli affari di Ricciardi andavano male e che era stata sua l’idea di fingere una rapina per mantenere calmi i creditori. Per questa ragione, le aveva presentato suo cugino, un certo Giuseppe Zapulla detto Carmelo, che era con lei quel maledetto giorno. Sia Zappulla che Ricciardi vennero arrestati, il primo come esecutore materiale insieme alla Fort ed il secondo come mandante. Nonostante professassero la loro innocenza, vennero rilasciati solo un anno e mezzo dopo in quanto persone estranee ai fatti. Rina era sola quella notte.

I funerali delle vittime

LA REAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA

Pietà per Carmelo, disprezzo per Pippo, odio per Rina: questi erano i sentimenti che animavano l’opinione pubblica alla vigilia del processo. Il procedimento penale contro Rina Fort iniziò il 10 gennaio 1950 e fu complesso, non solo per la risonanza che esso aveva avuto, ma anche per la durata e la crudeltà dei fatti raccontati. Condannata all’ergastolo in tre gradi di giudizio, la Fort non ottenne neanche l’incapacità di intendere e volere, perché tanta atrocità non poteva essere semplicemente spiegata come una forma di pazzia. Chiusa in carcere fino al 1975, anno in cui ottenne la grazia presidenziale, continuò a negare di aver massacrato i bambini fino alla sua morte, avvenuta nel 1988.

Il delitto di Via San Gregorio appassionò molto l’opinione pubblica del tempo, non solo per la struggente morte di bambini innocenti, ma anche perché, per la prima volta, la crudeltà non era più legata al “Mors tua vita mea” della logica di guerra, ma essa era il frutto della malvagità umana e di quella libertà che, con tanta fatica, il popolo italiano era riuscito a riconquistare.

 

 

Catiuscia Polzella