La ribellione addosso: storia della moda punk

Sulle note di Anarchy in the U.K. dei Sex Pistols, nasceva un nuovo modello culturale e artistico che ha cambiato radicalmente il modo di percepire la vita. Siamo in un periodo in cui il modello neoliberista sembra minacciato dai continui segni di un decadentismo che si accentuavano sotto forma di disuguaglianze sociali. Dalla percezione che il modello di società perfetta fino ad allora propinato sia definitivamente andato in rovina, ecco che i giovani cominciarono ad esternare il loro disagio attraverso l’arte, la musica, la poesia e la moda. Siamo nei primi anni ’70 e ciò che dilagava era la cultura Punk Rock.

Ci troviamo nella periferia di Londra, oppure nelle zone industriali di New York e Detroit; città divise da un oceano, ma accomunate da un sentimento di ribellione e disagio di cui oggi ricordiamo per lo più l’espressione musicale, ma che in quel momento è stato caratterizzato anche da look che hanno fatto la storia. La rabbia, la voglia di protesta emergeva attraverso indumenti che fino a quel momento erano definiti grezzi e sporchi. Spille da balia, creste da nativi d’America Mohawk, pallori da film dell’orrore, trucchi esagerati, jeans strappati e borchie, questa è la risposta al ’68 dei giovani che volevano rappresentare esattamente la disillusione, l’implosione degli ideali romantici e utopistici, la presa di coscienza del fallimento ideologico, l’impossibilità di ipotizzare un cambiamento se non andando contro tutto e tutti.

Il legame negli anni ’60-’70 del travolgente movimento musicale punk rock e il mondo della moda è stato talmente stretto da sembrare quasi imprescindibile. Ma per capire meglio è utile pensare ad un nome: Malcolm McLaren. Probabilmente tutto ciò non vi dice nulla, ma quest’uomo ebbe il grande merito nella storia musicale mondiale di essere stato il manager, che mischiando feedback, rumore bianco e distorsione alle voci di alcuni straordinari artisti, ha creato i Sex Pistols, che insieme a The Damned, The Clash e The Strangers rappresentano le prime e migliori espressioni del punk rock a stelle e strisce.

Ma come abbiamo detto il legame tra musica e moda è davvero molto forte, per cui il nome di Malcolm McLaren è associato a quello della compagna, quella Vivienne Westwood che dagli anni ’60 ad oggi ha saputo più di tutti dare una dimensione “fashion” a quello che inizialmente è stato solo un fenomeno musicale. La giovane stilista sfoggiava la sua arte in un negozio al 430 di King’s Road che si chiamava Sex (il cui claim era “Specialists in rubberwear, glamourwear and stagewear”) ed assieme al suo boyfriend diedero vita ad un fermento linguistico, musicale e creativo – ricordiamo Richard Hell e i Neon Boys, la proto-punk band newyorkese nata nei primi anni ’70, ma anche altri progenitori, come Lou Reed, David Bowie, Iggy Pop o Alice Cooper – che ancora oggi celebriamo. Sono molti, infatti, i teenagers che decidono di votare il proprio look ai canoni del punk rock; rispetto al passato non è cambiato il trionfo della pelle nera e delle borchie, ciò che è mutato sono le modalità con cui i giovani acquistano questi capi. Se negli anni ’70 era necessario scovare i retrobottega dei negozietti di Nothing Hill a Londra per trovarli, oggi basta un semplice click che la giacca arriva direttamente a casa tua.

Grandi nomi della moda internazionale hanno votato le loro collezioni allo stile punk rock, pensiamo ad esempio ai minishort di pelle proposti da Versace o alle felpe colorate con motivi psichedelici da McQ, o ancora ai total look con tanto di stivali in pelle nera lucida di Chanel, così come i riferimenti fetish (un altro grande ambito di ispirazione per la moda punk rock) di Yves Saint Laurent che ha proposto un minidress chiaramente ispirato allo stile anni ’60 in cui la gonna  veniva realizzata utilizzando cinte e fibbie.

Gli strappi e le borchie fanno parte ormai di ogni scenario metropolitano ed ancora arde la fiamma del desiderio di rottura degli schemi di cui si faceva portavoce questo movimento. Ancora oggi, seppur in nuove forme, il disordine come scelta stilistica continua ad avere un ruolo importante a volte in modo esplicito altre sotto mentite spoglie.

Claudia Ruiz