Diretto da Darius Marder, Sound of Metal è la sorpresa degli Oscar 2021. Si tratta di un film dalla potenza sferzante, che con la sua verosimiglianza riesce a far immergere lo spettatore in percezioni sonore e uditive atipiche e stimolanti, plasmando una vera propria empatia del suono, alla riscoperta di cosa significhi davvero sentire, in forme raramente vista al cinema.
Candidato a 6 premi oscar (Miglior film, Miglior attore, Miglior attore non protagonista, Miglior sceneggiatura, Miglior montaggio, Miglior sonoro) è, a parere di scrive, il miglior film in concorso.
Il film racconta la presa di coscienza, il doloroso ma arricchente percorso intrapreso dal protagonista, Ruben Stone (Riz Ahmed), un batterista metal, che, improvvisamente, viene colto da acufene, cioè dalla diminuzione improvvisa dell’udito.
Questo paradossale evento sconvolgerà la sua già tumultuosa vita e quella della sua ragazza Lou (Olivia Cooke), con la quale viveva in una roulotte. Niente sarà più come prima…
Ruben sarà costretto ad abbandonare il metal, la musica e a rivalutare ciò che è stata fino a quel momento la sua vita, rifugiandosi in una comunità di sordi, nella quale dovrà seguire regole ferree ed imparare il valore del silenzio.
Dopo un intro dirompente, non enfatizzata, ma asciutta, dotata di una verosimiglianza spiazzante, tagliente come può essere troncare i ponti all’improvviso con il proprio udito e con la possibilità di udire la voce altrui e di comunicare, Sound of Metal si rivela essere ben presto un viaggio sonoro ed esistenziale alla riscoperta di se stessi.
Fondamentale la figura di Joe, il responsabile della comunità di sordi, che diventa padre e mentore per il protagonista. L’attore che lo interpreta, Paul Raci (sordo non solo nella finzione filmica, ma anche nella realtà) offre un’interpretazione d’intensità palpabile, che rappresenta l’impalcatura del film stesso. Senza dubbio da oscar, nella categoria Miglior attore non protagonista.
La regia e il montaggio sonoro sono egregi nell’immergerci nelle alterate percezioni del protagonista, riuscendo a metterci, a fasi alterne, rispettivamente nei panni di Ruben e delle persone che lo circondano. Giostrando tra loro silenzio, rumore, gestualità che diventa linguaggio e apprendimento all’ascolto, il film, sorretto da un interpretazione memorabile di Riz Ahmed (giustamente candidato all’oscar) è talmente autentico e privo di orpelli scenici o di escamotage di sceneggiatura o di regia, da colpire nel profondo chi lo guarda.
Il soggetto è di Derek Cianfrance (regista di Blue Valentine e Come un tuono) che davvero soffrì di acufene nella sua vita. Si tratta di un progetto filmico che l’autore aveva in cantiere da tempo e che, infine, ha scelto di “donare” all’amico regista Darius Marder.
Ne esce fuori un racconto personalissimo, portato a compimento con tecniche registiche coraggiose ed efficaci. A metà del film, come tutte le storie di formazione – e Sound of Metal rientra tra queste – vi è il confronto drammatico tra aspettative e realtà.
Riemerge il tema del rapporto con l’altro ed il bisogno di reinterpretare l’amore, la passione e la vita, i motori che fino a quel momento avevano “attivato” la vita del protagonista. La metafora del titolo può essere sintetizzata nelle domande: Cos’è che davvero siamo in grado di sentire? Quali suoni che appartengono a noi stessi o al mondo abbiamo ignorato? Quale suono è in grado di dirci chi siamo e di completare la nostra mancanza?
Come un pungolo la regia si sofferma su questo e riesce a codificare indirettamente queste domande, questa ricerca attraverso le immagini e il suono.
Da questo punto di vista la storia di un singolo, così autentica, descritta in modo così immersivo, diventa in qualche modo la storia del collettivo, degli spettatori… Anche lì, dove parla degli affetti, Sound of Metal scava in profondità senza banalizzare, dando enfasi al non detto e alle discontinuità emotive della vita. In ciò ricorda Blue Valentine di Cianfrance, che come abbiamo detto è fautore di parte importante del soggetto cinematografico. Lo fa giocando in sottrazione, recuperando l’essenzialità ed il silenzio, togliendo suono e rumori assordanti. Cioè che rimane sul fondo è la verità sembra dire il regista…
Non manca in questa idea quasi un riferimento a Dreyer (si pensi al processo a Giovanna D’arco), film muto, in cui il discorso della sottrazione veniva applicato tramite l’essenzialità della fotografia e delle scenografia.
Da quanto detto si evince come Sound of Metal sia un film autoriale di qualità elevata, drammatico, forte, emotivamente coinvolgente, un film che suscita immedesimazione e induce a porsi molte domande. Una riflessione sul rumore metallico della nostra società, il sound of metal che può essere motore attivo lì dove ci spinge ad essere parte di quel flusso attivo e iper veloce, ma può anche confonderci; che può rappresentare una risorsa, come essere una trappola.
Indirettamente il film riflette anche sulla riscoperta della casa, sul bisogno di trovare un luogo sicuro in cui stare. E’ incredibile come questa tematica sia affrontata da ben tre film degli Oscar 2021 (tra i migliori in concorso) come Nomadland e Minari, oltre a Sound of Metal. Un tema, forse figlio dell’insicurezza dei nostri tempi.
In chiave Oscar, stupisce la non candidatura alla miglior regia. Riz Ahmed, dalla drammaticità autentica e magnetica, se la gioca alla pari con Chadwick Boseman (Ma’Rainy Black Bottom) per Miglior Attore; Miglior attore protagonista a Paul Raci per un’interpretazione, che come si diceva è straordinaria; così come meriterebbero Miglior Sceneggiatura, Miglior Montaggio e Miglior Sonoro (il film è basato sul suono e sul suo significato).
Come si evince da quanto scritto Sound of Metal è un film che ci ha conquistati. La grande sorpresa di quest’anno! E’ disponibile su Amazon Prime Video.