Passiamo gran parte delle nostre giornate scrollando compulsivamente il feed di numerosi social network. Con la stessa abilità di un ninja passiamo da una storia di Instagram ad una diretta su Facebook senza rendercene neanche conto. Ma alla fine dei conti, davvero ci importa così tanto degli altri?
Siamo un popolo di lamentosi, si sa. Non facciamo altro che trovare il marcio in ogni cosa che ci si presenta davanti agli occhi, semplicemente perché chi pubblica contenuti si espone al giudizio degli altri e “chi sono io per non poter dire la mia?”. E allora via con lo spionaggio dei profili di ex fidanzati, ex amici, ex compagni di classe (augurandoci crudelmente che la loro vita senza di noi, portatori sani di gioie e felicità, sia almeno un tantino più triste, se non addirittura disperata, e ce ne rallegriamo come dei piccoli dottor Male impazziti), via con i maniacali controlli degli ultimi accessi, con le conseguenti ore passate ad immaginare scenari impossibili in cui il povero malcapitato in questione che diventa ora un maledetto traditore, ora preda di improbabili rapitori, ora vittima di un incidente, magari si era allontanato qualche minuto dal cellulare per un miliardo di ragioni possibili, e decisamente più ragionevoli.
Siamo disposti a maledirci quando su Instagram “per sbaglio” ci capita di visualizzare la storia di una persona che abbiamo deliberatamente deciso di odiare o che ci sta antipatica, o che per principio non merita le nostre attenzioni, proprio perchè noi siamo stelline meravigliose uniche ed irripetibili, e tutto quello che facciamo sui social deve essere frutto di un calcolo che manderebbe in crisi i migliori ingegneri aerospaziali.
Quando sul profilo di qualcuno che conosciamo e che ci interessa anche solo lontanamente compare qualche frase a effetto, o qualche citazione, probabilmente tratta da un libro di Bukowski, che sta lì senza alcuno scopo se non dimostrare che se conosci Bukowski allora sei anche tu un super figo misterioso e maledetto, immediatamente siamo pronti a pensare che quella frase si riferisca proprio a noi, piccole perle splendenti dell’universo, e tutto ciò che dobbiamo fare è interpretare il messaggio in codice. Magari iniziamo a rispondere con altrettanta ermeticità dando il via ad una battaglia inutile di citazioni casuali che finirà per riempire la home page di centinaia di amici che passeranno il resto del tempo a maledire silenziosamente noi, Bukowski, Mark Zuckerberg ed infine se stessi per aver riaperto quella finestrella ammaliante ancora un’altra volta, la terza nel giro di un minuto, con tanto di rancore per una vita sociale quasi del tutto inesistente.
In tutto ciò c’è una specie di masochismo persistente: anche se siamo noi coloro ai quali non interessa nulla degli altri, delle citazioni sgrammaticate, delle foto al mare, dei piatti al ristorante o dei tramonti romantici. Ebbene la verità è che non possiamo fare a meno di tutto questo. Non per dimostrare a noi stessi o a chi per noi di essere superiori a tutte queste cose, anche perchè non c’è alcun tipo di disprezzo nei confronti della comunità virtuale (naturalmente con le doverose eccezioni), ma semplicemente perché siamo fatti così, questa è la nostra natura. Ebbene sì, siamo stalker, amanti di citazioni accompagate da immagini fuori luogo, terribilmente invidiosi, vanitosi alla massima potenza, esibizionisti, egocentrici, scrollatori compulsivi, facilmente impressionabili, con milioni di dipendenze e, cosa del tutto incomprensibile, siamo assolutamente fieri di esserlo.