Smart Cell Patch: un cerotto intelligente contro il Diabete di tipo 1

Diventa concreta la possibilità, per i malati di Diabete di tipo I, di abbandonare le iniezioni di insulina a favore di una tecnologia più moderna, meno vincolante ed invasiva. Stiamo parlando dell’ultimo smart patch, come già vengono definiti i cerotti super-tecnologici, progettato per il rilascio costante e calibrato di insulina nel sangue.
Un progresso notevole nella cura della patologia che potrebbe migliorare di molto la qualità della vita dei pazienti che, fino ad oggi, hanno potuto beneficiare essenzialmente di due possibilità: assumere insulina attraverso delle iniezioni o l’utilizzo di un microinfusore. Per quanto possa sembrare diversamente, l’assunzione di insulina mediante iniezione è un processo doloroso e spesso impreciso che, se condotto in modo scorretto, può portare a conseguenze terribili. A causa del ruolo fondamentale giocato dall’Insulina nel nostro corpo, un suo dosaggio errato può avere ripercuotersi, nel peggiore dei casi, sulla vista e sugli arti portando anche alla loro perdita.

Come già vi abbiamo raccontato nei nostri precedenti articoli, qui e qui, tra i vari tipi di diabete, quello di tipo I ha la particolarità di essere causato dalla perdita, a causa di reazioni autoimmuni, delle cellule pancreatiche deputate alla produzione di insulina: le cellule β. Per questa ragione, fin dal 1970 la scienza ha pensato al loro trapianto come possibile soluzione. Nonostante le grandi speranze, esso non ha mai ottenuto il successo desiderato. Nonostante siano ormai migliaia le persone che si sono sottoposte a questa procedura, ben pochi sono stati gli interventi di successo e tanti i pazienti che hanno dovuto fare i conti con la più terribile problematica associata ai trapianti: il rigetto. Molto spesso, infatti, i trapianti non sono andati a buon fine e, nei casi positivi, i pazienti sono stati costretti ad assumere per tutta la vita immunosoppressori capaci di interferire con l’insulina stessa.

Oggi un’alternativa potrebbe essere possibile, è nato il primo cell patch, un cerotto intelligente che sfrutta le cellule β del pancreas per offrire al paziente una opportuna regolazione della glicemia in risposta alle necessità momentanee dell’organismo, vincendo le problematiche associate al trapianto. Sviluppato da una equipe congiunta di ricercatori della University of North Carolina, a Chapel Hill, e della North Carolina State Universityunisce la bioingegneria più avanzata alle scienze biomediche riuscendo, nel modello animale, a stabilizzare i livelli di glucosio nel sangue per ben dieci ore. Ma come funziona?

L’immagine sopra rappresenta un modello esemplificativo riportato dagli stessi scienziati nel proprio lavoro, pubblicato su Advanced Materials. Ciascun cerotto è costituito da centinaia di minuscoli aghi della dimensione di ciglia contenenti cellule β ed un “amplificatore del segnale del glucosio”. Quando gli aghi entrano a contatto con il sangue presente nei capillari, l’amplificatore del segnale del glucosio, formato da numerose vescicole, è in grado in qualche modo di rilevare la concentrazione di zuccheri nel sangue e trasmettere l’informazione alle cellule β, racchiuse e protette da capsule di alginato, un materiale biocompatibile. A questo punto, esse non fanno altro che adempiere alla propria naturale funzione: rilasciare l’adeguato quantitativo di insulina in risposta al glucosio presente nel sangue.

Un’immagine ottenuta mediante microscopia elettronica a scansione (SEM) dei micro-aghi del dispositivo elaborato da Zhen Gu e collaboratori.

Il merito principale di questo nuovo dispositivo e l’ovviare completamente a due delle problematiche comunemente associate alla vita di un diabetico: la necessità di monitorare i propri livelli di glicemia e di dosare opportunamente l’insulina da somministrare in base al consumo di cibo o all’assunzione di particolari farmaci. Il mantenimento delle cellule all’esterno del corpo, poi, seppur in costante comunicazione con esso, rende inesistente il rischio di rigetto, il principale rischio derivante dal trapianto.

I risultati sul modello animale sono oltremodo incoraggianti! Siamo in attesa che abbia inizio la sperimentazione sull’uomo e che nuove implementazioni del sistema lo rendano sempre più compatibili con le abitudini e le attività dell’uomo moderno, in modo che possa rappresentare realmente la terapia del futuro.

Silvia D'Amico