Shunga: la pittura erotica giapponese contro ogni forma di tabù

Gli shunga, per il loro carattere osceno e la spiccata ed esplicita carica erotica, vennero più volte censurati attraverso appositi editti, soprattutto tra il Seicento e il Settecento. A partire da quel momento, in Giappone gli shunga cominciarono a diventare un vero e proprio tabù; e persino oggi, ben 20 strutture espositive si sono rifiutate di ospitare varie mostre su di essi.      Il fascino del proibito però, come spesso accade, ha fatto sì che l’intero mondo dell’arte si mobilitasse contro questa etichetta di oscenità.

Nel 2013, infatti, il British Museum di Londra ha organizzato una grande mostra dal titolo “Shunga: sex and pleasure in Japanese art” che ha visto oltre 90mila visitatori. Mentre nel settembre 2015, gli shunga sono stati protagonisti di una mostra a Tokyo, presso l‘Esei-Bunlo Museum. Il direttore del museo, l’ex primo ministro Morihiro Hosokawa, ha affermato in una conferenza stampa, lo scorso maggio, che la mostra aveva proprio l’obiettivo di rompere il tabù che si è creato intorno a questa particolare forma d’arte, e donare anche la possibilità ai molteplici collezionisti, presenti in tutto il mondo, di vedere gli originali di questi lavori. 

Gli shunga, inoltre, ricoprono anche un importante valore sotto il profilo storico artistico. Questo genere, infatti, non era in uso solo tra pittori esclusivamente erotici, ma numerose stampe furono dipinte anche da alcuni tra i massimi esponenti della pittura giapponese, come Katsushika Hokusai, Kitagawa Utamaro e Suzuki Harunobu. Vengono considerati poi i diretti antenati dei manga erotici, rappresentando quindi un fondamentale tassello nella corposa storia dei fumetti giapponesi.

Alice Spoto