È da tempo immemore ormai che la piattaforma per film e serie tv Netflix mette a disposizione degli abbonati pellicole vintage, datate, ma memorabili, attuali, sempre seguite con piacere e di successo: insomma, cult.
Di recente è toccato a “Basic Instinct”, cult evergreen degli anni Novanta, diretto nel 1992 da Paul Verhoeven e meritevole di aver conseguito 2 Nomination sia agli Oscar sia ai Golden Globes.
Come mai si scommette ancora oggi su un thriller erotico più che ventennale? Qual è il segreto del suo successo oltre alla famosissima sequenza dell’attrice protagonista Sharon Stone che accavalla le gambe e lascia vedere l’assenza di mutandine in un commissariato?
Ebbene, quel noto frame non è l’unico elemento rivoluzionario che all’epoca fece scandalo, mentre oggi desta più che altro piacere sia erotico sia cinematografico.
“Basic Instinct” è uno di quei film in cui non furono adottate controfigure per le scene di sesso, e non ne sono poche. Dunque, fece scalpore in modo duplice, e pensate che ci vollero cinque giorni di riprese per la scena più lunga d’amplesso della Stone e di Michael Douglas.
Un altro motivo fu sempre causa di una polemica che poi fece raggiungere popolarità al lavoro: la comunità statunitense LGBT di allora lamentò che l’assassina del film fosse una ragazza bisessuale. A ciò aggiungiamo pure che la vicenda è ambientata e girata a San Francisco, patria arcobaleno, e comprendiamo immediatamente la portata di un tale movimento di protesta.
Tuttavia, alla comunità arcobaleno e al mondo intero ha giovato invece che il personaggio principale fosse una bisex, in una direzione più progressista, considerati i tempi: nonostante l’attore protagonista tristemente avesse chiesto che il suo personaggio non dovesse essere assolutamente bisex (come se questo non sia un orientamento sessuale ma una problematica) e fu accontentato, “Basic Instinct” sdogana il sesso nelle sue forme più estreme ed ossessive, mettendone a nudo (in tutti i sensi) tutti gli aspetti, senza giustamente e minimamente preoccuparsi della morbosità di un amplesso o di un bacio con la lingua, anche se tra due donne, senza colori, senza bandiere.
E non v’è condanna di niente: persino la malefica seduttrice Stone non sarà arrestata alla fine. Ma anzi, tutti i piani vengono scomposti, è una continua scomposizione che parte dall’immagine fisica iniziale di due che si accoppiano e prosegue anche metaforicamente parlando.
Il richiamo a Picasso, infatti, è necessario, perché il riferimento al Cubismo è raffinatamente presente. Dunque, intuizioni e rivoluzioni il film porta avanti, pur non essendo di certo un capolavoro, ma è innegabile che si tratta di un lavoro che, forse proprio per aver attirato su di sé proteste più ancora che polemiche, ancora a distanza di decenni si lascia guardare da giovani e meno giovani.