“Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro…” le ultime parole di un anziano ricoverato presso una RSA ai suoi cari

Ci sono parole e parole, ci sono poi, quelle che ti strappano una lacrima, che silenziosa scende sul viso. Tutti abbiamo un nonno, un papà, e se non lo abbiamo più, ricorderemo di sicuro il suo viso, le sue parole sagge e piene di amore. Molte volte l’anziano non chiede tanto, soltanto un po di spazio nelle nostre vite, sa di non essere lo stesso uomo di prima, si sente un peso, i suoi movimenti non sono più gli stessi, le sue mani sono raggrinzite e spesso lasciano scivolare gli oggetti per terra, ma nel suo cuore, nella sua anima è lo stesso uomo di prima, ricorda ancora la sua vita da ragazzo, le sue avventure, la sua scalata nel mondo, ricorda sempre i suoi figli, i figli che sono la sua vita, Adesso, la paura di cadere nel dimenticatoio spesso lo assale, ma finge di niente, per non dare peso ai suoi cari. Durante l’emergenza coronavirus, gli anziani hanno pagato il prezzo maggiore, il mondo intero ha perso il bagaglio della storia, della saggezza, dell’amore incondizionato più caro che esista. Se ne sono andati da soli, senza una carezza, senza un viso amico accanto a dargli l’ultimo sorriso, senza una mano da stringere fino all’ultimo. Per questo, nella versione integrale, vogliamo riportare l’ultima lettera di un anziano ricoverato presso una Rsa, da lui definita prigione dorata, ma in realtà una spietata prigione. Parla a cuore aperto, sapendo che saranno le ultime parole per i suoi cari, non sapendo però che saranno lette e speriamo rilette, non si può andare via così, ci sono cose che non possiamo considerare tollerabili, e non dimentichiamo che tutti diventeremo inevitabilmente anziani.

 «Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (L’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla). Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara» scrive l’anziano signore nella lettera pubblicata dal sito interris.it. Di lui sappiamo solo l’età, 85 anni e che probabilmente era un avvocato e che forse chiama per nome una giovane donna, la nipote. «E’ l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella prigione» scrive ancora il signore nella lettera, denunciando con toni pacati, il disagio e la sofferenza provocati dalla poca considerazione che gli viene riservato da gran parte del personale della struttura dov’era ricoverato. E ancora.  «Sembra infatti che non manchi niente ma non è così…manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme». E se nelle ore più difficili, il ricordo della famiglia descritto nella lettera, lenisce almeno il dolore dell’anima, le righe seguenti sono una critica severa nei confronti delle persone, che per lavoro, avrebbero dovuto occuparsi se non in modo amorevole, sicuramente professionale verso un paziente anziano e sofferente. Si legge ancora.

«Non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio: «Sai perché quella quando parla ti urla? Perché racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?». Che Dio abbia pietà di lei. Ma allora perché fa questo lavoro?  «Vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le rsa, le prigioni dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro… l’altro giorno l’infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no… Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego… non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinchè si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi».

Alessandra Filippello