Safety Coffins: bare di “sicurezza”

safety coffins, bare di sicurezza, si diffusero nel XVIII e XIX secolo, ed erano dei feretri attrezzati in caso di esequie premature.

La paura di essere sepolti vivi era diffusa e fondata: erano infatti regolari i rapporti che parlavano del ritrovamento, durante la riesumazione, di corpi usciti per metà dalla cassa, o dalla posizione scomposta e dalle unghie strappate, o dei coperchi ricoperti di graffi. La letteratura, dal canto suo, sfruttava questa tremenda immagine: Le esequie premature di Edgar Allan Poe, del 1844, racconta proprio di vari casi attestati e del terrore che lo stesso Poe, sofferente di catalessi, aveva di essere sepolto vivo.

Durante l’epidemia di colera a cavallo fra ‘700 e ‘800, la paura raggiunse il suo apice. Cominciarono dunque ad essere costruite le prime “bare sicure”, che prevedevano aperture dall’interno, e molto spesso l’utilizzo di sistemi di comunicazione con l’esterno, quali ad esempio una campana la cui corda aveva un’ estremità che finiva dentro alla cassa da morto.

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Il problema di questo metodo è che la decomposizione poteva causare movimenti improvvisi della salma e portare così a delle “false” richieste di soccorso. Altre variazioni del metodo della campana prevedevano bandiere e fuochi d’artificio. Alcuni brevetti includevano scale, vie di fuga, “cannocchiali” puntati sul volto del defunto – per controllare il suo stato – addirittura tubi per il cibo, ma ironicamente molti erano sprovvisti della funzione basilare: il rifornimento d’aria.

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Nel 1995, il nostrano Fabrizio Caselli ha brevettato il più moderno dei safety coffin: la bara è dotata di un allarme, un sistema di interfono, una torcia elettrica, un apparecchio di respirazione ad ossigeno, uno stimolatore cardiaco e un sistema di monitoraggio dei battiti del cuore.

Eppure, nonostante tutte le precauzioni che la paura di essere sepolti vivi ha ispirato, non si ha notizia di nessuno che sia stato salvato da una “bara di sicurezza”.

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Per chi volesse approfondire, il testo più accurato sull’argomento è Buried Alive: The Terrifying History of Our Most Primal Fear di Jan Bondeson.

redazione