Quando una ninna nanna non ti salva dagli incubi

Due produzioni ispanico-messicane, due horror psicologici, entrambi concatenati a drammi infantili, entrambi con un cuore poetico avvolto da una macabra corsa contro il tempo: El laberinto del fauno e El orfanato.

Presentato al Festival di Cannes nel 2006, Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro si è aggiudicato tre oscar, scenografia, fotografia e trucco, e numerosi altri premi. È ambientato in Spagna, nel 1944, dopo la vittoria di Francisco Franco nella guerra civile. La protagonista è Ofelia, una bambina costretta a trasferirsi con la madre incinta presso il patrigno, il Capitano Vidal, per volere di quest’ultimo. La natura dittatoriale e violenta dell’uomo non tarda a manifestarsi: il suo compito è eliminare gli ultimi ribelli rimasti e per farlo userà tutti i mezzi a sua disposizione. La noncuranza del patrigno e la difficile gravidanza della madre, forzata a rimanere a riposo, permettono ad Ofelia di vagare nei boschi e nell’antico labirinto di pietra lì custodito. È qui che la bambina, guidata da una fata, incontra il Fauno. Quest’essere fantastico le rivela la sua natura: Ofelia è in realtà la principessa del regno sotterraneo e, fuggita da esso, ne ha perso il ricordo. Per ritornarvi, la bambina dovrà superare delle prove. Tuttavia, le prove più difficili l’aspettano nel mondo reale, doveil Capitano sparge incessantemente la sua crudeltà.

Dal Festival di Cannes del 2007 arriva, invece, The Orphanage, diretto da Juan Antonio Bayona. Vincitore di 6 premi Goya, tra i suoi produttori troviamo  nuovamente Guillermo del Toro. Il palcoscenico di questo horror è un orfanotrofio in disuso locato nelle Asturie. Laura, una giovane donna, vi aveva trascorso l’infanzia e, dopo essersi sposata e aver adottato un bambino affetto da HIV, decide di comprare il vecchio edificio per adibirlo a casa d’accoglienza per bambini down. Il figlio, Simón, trova in quel misterioso ambiente terreno fertile per la sua fantasia e si crea alcuni amici immaginari. Il padre non da troppo peso alle sue stramberie, mentre Laura comincia a trovarle inquietanti, soprattutto dopo che Simón le dice che i suoi amici gli hanno rivelato di essere malato e di essere stato adottato. Alla festa d’inaugurazione della casa famiglia, Laura e Simón hanno un breve bisticcio e il bimbo decide di non partecipare. Quando la madre torna a cercarlo dopo aver accolto gli invitati, viene aggredita da un bambino mascherato da clown. Liberata dal marito dal bagno in cui il bambino l’aveva rinchiusa, i due cercano Simón, non riuscendo però a trovarlo. Comincia allora l’angosciosa ricerca del bambino, che catapulterà Laura nel suo passato, in quell’orfanotrofio che nasconde segreti raccapriccianti.

Molti sono i parallelismi riscontrabili tra questi due film, primo fra tutti il ruolo chiave dell’immaginazione infantile, che instaura nello spettatore il dubbio su ciò che è reale e ciò che non lo è. Altro elemento non trascurabile è il tempo, che viene distorto dalla visione dei protagonisti: nel primo film, il tempo severamente scandito dall’orologio del Capitano si contrappone all’eterna esistenza del regno sotterraneo; nel secondo, lo scorrere del tempo percepito da tutti i personaggi diventa impercettibile per Laura, che vaga tra passato e presente. Impeccabile la costruzione di entrambi i film, che riescono a catturare l’attenzione dall’inizio alla fine, coinvolgendo lo spettatore sia sotto l’aspetto dell’angoscia tipica dei thriller psicologici che per quanto riguarda l’affetto verso i personaggi proprio del filone drammatico. Due film che continuano a far pensare anche dopo averli visti, con i loro finali imprevedibili che scuotono lo spettatore nel profondo. Due film che non vi pentirete di aver visto (salvo per qualche incubo).

redazione