Planetarium: l’artista come un medium

Molto accurato a livello estetico e scenico, Planetarium di Rebecca Zlotowski è concepito innanzitutto come un film simbolico, che miscela tra loro narrazione e metafora, riflettendo sulle “maschere” del cinema e dell’arte. Due sorelle medium, Laura e Kate Barlow (Natalie Portman e Lily Rose Depp), arrivano a Parigi per esibirsi nelle loro incredibili performance. Cominciano in un piccolo teatro, dove vengono presto notate da Andre Korben (Emmanuel Salinger), un produttore cinematografico in crisi, discusso dagli azionisti per il suo operato, che prende appuntamento per essere coinvolto in una loro seduta spiritica. L’esperienza lo lascia assuefatto dal potere extrasensoriale delle due donne, al punto da voler tentare un’impresa impossibile: girare un film per documentare i loro poteri e impressionare le presenze da loro evocate sulla pellicola. Sulla scia dell’entusiasmo le fa trasferire nella sua stessa casa, dove allestisce un costoso set cinematografico.

Fin dall’inizio la regista francese sceglie di rappresentare la seduta spiritica in modo decisamente difforme dai canoni dalla filmografia tradizionale. Nessuna inquadratura horror, né banchi di fumo o “inganni” da prestigiatori. Niente ombre oscure o fantasmi: solo la forza della visione delle due donne e il fascino immaginifico che essa produce, visibile solo per coloro che ne sono coinvolti. Una visione personale e unica, conturbante e attraente per ogni testimone che l’abbia sperimentata su di sé. Il potere delle due medium è reale, o meglio, lo è quello di una sola di esse, Kate. Pallida, timida e riservata, è lei la sola ad avere il dono.

La sorella Laura è assolutamente il suo opposto e non ha alcuna dote spiritica, ma ha un’altra qualità di altrettanta importanza per la riuscita dello spettacolo: la presenza scenica, la capacità di ammaliare gli sguardi e di fingersi altro da se stessa. È talmente brava in questo che tutti pensano sia lei ad avere il talento di parlare con i morti. Il produttore cinematografico, un enigmatico e intenso Emmanuel Salinger, è a suo modo un sognatore tormentato, che rimane rapito da entrambe le donne, sebbene, da ciascuna in modo diverso: dal fascino femminile della maggiore, che, sostenuta da registi e operatori dello spettacolo, si trasforma in una vera e propria diva del cinema; ma, in modo decisamente più sconvolgente, dal dono puro e cristallino della minore, con la quale sente il continuo bisogno di collegarsi spiritualmente, quasi fosse per lui “una droga dell’anima”. È così che le due sorelle diventano entrambe il tramite di qualcosa. Tanto che viene da chiedersi chi delle due sia la vera medium.

L’attrice, che nel momento in cui recita si svuota totalmente della sua personalità per incarnare quella di qualcun altro sulla scena? Oppure la ragazza che sente gli spiriti, anche lei annullata dalla presenza dei morti che scelgono il suo corpo come mezzo per raggiungere i vivi? Il paragone tra arte e medium è affascinante ed è reso con maestria da Rebecca Zlotowski. Molto bella la scena in cui la Portman si ritrova confusa, quasi smarrita sulla scena, nell’interpretare per la prima volta una parte. Viene rassicurata dagli esperti del settore, ma l’angoscia di aver percepito di non avere una vera identità le rimane addosso, anzi comincia ad attanagliarla sempre di più, sopratutto quando scopre che Arden non è attratto da lei come pensava, ma è più interessato ai mistici poteri di sua sorella, che lei al contrario non possiede. In questo strano triangolo Arden è il vero artista. Sogna di immortalare sulla pellicola gli spiriti visti durante le sedute con Kate, che considera un po’ la sua musa (una musa sostanziale, non estetica come lo è Laura). È pronto a spendere qualsiasi cifra per riuscirci, a pagare qualsiasi prezzo; ma il mondo non capisce l’arte. Come la ragazza dai poteri speciali, egli viene severamente punito per i suoi sogni irrealizzabili e per la sua sensibilità al di fuori dal comune. Frainteso,isolato, incarcerato.

Kate, l’attrice, rimane infine da sola, alla ricerca, forse impossibile, di un ruolo che possa colmarla di significato e darle un vero volto che non sia una maschera. In un film da lei girato si trova, infine, davanti al Planetario del titolo: l’unico luogo in cui “ogni desiderio è possibile”, in cui l’arte può trovare il suo pieno compimento. È lì, nel cielo buio illuminato dalle stelle, infatti, che risiedono davvero le anime dei morti, gli stessi che vedeva sua sorella. Il firmamento è l’unica pellicola che può impressionarne la presenza, non i mezzi scenici cercati da Andre…

Come si evince, Planetarium è un film che ha molti significati nascosti, perché corredato da numerosi simboli, anche visivi. E’ a tratti criptico e lo sottolinea la scelta di utilizzare delle ellissi narrative. Alcune scene, anche di momenti importanti della storia, vengono del tutto “saltate” e raccontate indirettamente dai personaggi. Nonostante questo impianto, la trama si fa seguire, scorre parallela alle metafore con un elevato livello tecnico di inquadrature, spesso meta-cinematografiche. La doppia struttura del film, onirica e non, è uno degli elementi più interessanti della pellicola, così come l’audace ed originale sceneggiatura (sempre di Rebecca Zlotowski), che come le protagoniste del film diventa un po’ un mezzo (medium) per esplorare nuovi significati, sui cui riflettere a mente fredda, anche dopo il termine del film. Sullo schermo Natalie Portman è “ipnotizzante”. Anche qui, l’attrice dimostra di aver maturato un livello recitativo di elevato spessore. La freschezza di Lily Rose Deep (figlia di Johhny Depp e Amber Heard) promette bene per il futuro dell’attrice, a suo agio dinnanzi alla macchina da presa, nonostante la giovanissima età. Da sottolineare anche il protagonista maschile Emmanuel Salinger, che sfida la Portman in un duello di crescente intensità.

Francesco Bellia