“Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso. Che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo”. Queste le parole riprese dall’incipit del decreto legislativo dell’11 aprile 2006, n. 198. Una legge in cui vengono poste nero su bianco le disposizioni inerenti al “codice delle pari opportunità tra uomo e donna”. Si tratta, dunque, di una serie di articoli volti a garantire l’organizzazione e la promozione delle pari opportunità in diversi ambiti.
Finalmente, dopo ben 15 anni, dalla Camera dei Deputati sono state approvate – all’unanimità -alcune modifiche al decreto in questione.
In particolare queste riguardano: una maggiore attenzione all’inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Nonché, una sostanziale riduzione del cosiddetto “gender gap” salariale. Innanzitutto, per comprendere la natura delle modifiche, è necessario partire da una riflessione importante:
Cosa si intende con l’espressione “pari opportunità”?
Non tutti sanno che all’interno del Governo italiano esiste persino un dipartimento ad esse dedicato. Il Dipartimento per le Pari Opportunità, per l’appunto, venne istituito il 28 ottobre del 1997. Al suo vertice, sotto il governo Draghi, dal 13 febbraio 2021 vi è la Ministra Elena Bonetti. Il suo motto è:
Considero la politica come servizio e farò del mio meglio per garantire a tutte e tutti pari opportunità e fare delle famiglie il pilastro della comunità
Quando si parla di pari opportunità in tal senso, non si intende semplicemente la conquista da parte delle donne di determinati diritti. Quella delle pari opportunità, più che un’espressione d’uso comune è un vero e proprio principio giuridico. Il quale non si riferisce meramente alle donne e non intende in alcun modo sottolineare la superiorità di queste, anzi il senso è ben altro.
In maniera generica si potrebbe dire che ha sempre interessato maggiormente il concetto di parità politica, economica e sociale tra uomo e donna. Tuttavia, il principio viene esteso in senso lato a qualsiasi individuo che per ragioni di genere, religione e convinzioni personali, razza e origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale o politico venga in qualche modo discriminato o escluso dalla sfera sociale.
Una volta chiarito ciò, è necessario approfondire quelli che sono i cambiamenti più importanti della modifica al decreto pari opportunità.
In questo caso, le dirette interessate sono tutte le donne lavoratrici vittime del famoso “gender gap”. Un divario di genere che colpisce particolarmente il versante professionale.
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, all’inizio del suo mandato governativo aveva assicurato che ci sarebbero state diverse svolte sul fronte delle pari opportunità. Qualcosa sembra, dunque, essersi smosso. Soprattutto nel contesto lavorativo dove le donne risentono, purtroppo, di discriminazioni.
Esse possono assumere diverse forme, sfociando, ad esempio, in una disparità salariale tra uomo e donna davvero notevole. Inoltre, il concetto di discriminazione si percepisce ogni qual volta all’interno di scelte aziendali la partecipazione delle donne è limitata o resa nulla. Tale espansione concettuale è ribadita in maniera chiara nelle modiche del codice del 2006.
Quindi, è possibile sostenere che la modifica di alcuni passaggi del codice del 2006 faccia ben sperare che aziende pubbliche e private si possano sempre più muovere a sostegno delle donne. A favore, quindi, di lavoratrici che richiedono semplicemente un pari trattamento e un equilibrio economico per il lavoro svolto.
Le svolte più significative riguardano un ampliamento di presenza di figure femminili all’interno degli organi amministrativi.
Da welfarenetwork.it si parla di un aumento del 40% di rappresentanza femminile. Lo Stato, oltre a dare disposizioni si propone di incentivare le imprese verso questa direzione. Garantendo persino incentivi fiscali a tutte quelle aziende che investano sulle donne e sul loro avanzamento di carriera.
Monitorare tale operato è d’obbligo. Motivo per cui è stato, altresì, deciso di introdurre la figura del/della Consigliere nazionale di Parità. Il ruolo di questa persona dovrà essere di presentare una relazione biennale al Parlamento inerente all’operato svolto dall’azienda nell’ambito delle pari opportunità. In egual modo, le aziende con più di 50 dipendenti – invece di 100 come previsto prima della modifica – dovranno redigere una relazione sulla situazione del personale.
Strumenti di equilibrio nuovi riguarderanno, inoltre, la conciliazione tra l’orario lavorativo e quello di vita per far fronte alle diverse esigenze personali.
Modifiche di questi orari potranno essere considerate come atti discriminatori, poiché, potrebbero mettere il diretto/a interessato/a in una posizione di svantaggio. Un modo con il quale togliere la responsabilità all’individuo di scegliere tra famiglia e lavoro. L’equilibrio di questi orari sarà strutturato a priori al fine di evitare conseguenze spiacevoli.
Dal primo gennaio 2022 arriverà anche la la certificazione della parità di genere.
Un documento in mano alle aziende che avrà l’obiettivo di attestare tutte quelle che sono le misure adottate dall’azienda in un’ottica di parità di genere. Questa certificazione terrà conto, come si legge dal decreto, delle opportunità di crescita in azienda, della parità salariale a parità di mansioni, delle politiche di gestione delle differenze di genere e della tutela della maternità.
Le imprese pubbliche e private che spiccheranno su questo fronte saranno premiate, come già anticipato, con uno sgravio contributivo fino a 50mila euro all’anno per ogni azienda.
Quanto garantito dalle modifiche approvate dalla Camera sarà adesso oggetto di esame da parte del Senato. Si auspica una velocizzazione burocratica al fine di stimolare le aziende attraverso gli incentivi sopra riportati a garantire una parità tra uomini e donne. Un risultato che potrà finalmente essere raggiunto in Italia e che segna l’inizio di un nuovo mondo lavorativo, in cui non sarà più necessario parlare di differenza, ma solo di equità.