Padova, la bestia dell’Apocalisse e le tiare papali

Il Battistero di Padova, edificato nel XII secolo, ci regala una serie di affreschi che portano la firma di Giusto de’ Menabuoi, importante pittore di origine fiorentina. Elaborati nel periodo fra il 1375 e il 1378, gli affreschi narrano i passaggi biblici più importanti sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. Il Cristo Pantocratore viene rappresentato in tutta la sua gloria, circondato da decine di angeli, secondo uno schema concentrico che conferisce un senso di profondità prospettica all’opera. All’interno di questi cerchi anche la Madonna ha una sua importante collocazione, anch’essa circondata a sua volta da angeli e santi. Il cerchio più esterno è rappresentato dai trentasette santi di Padova. La predominanza del giallo-oro impartisce un senso di luminosità che sembra estendersi dall’immagine verso l’osservatore, inglobandolo e rendendolo partecipe.

Malgrado la magnificenza di questo spettacolo visivo, gli affreschi includono anche un altro elemento, questo di natura molto diversa, si potrebbe dire addirittura contrastante con il sentimento di divina gloria trasmesso dal Cristo Pantocratore.

Nell’abside incontriamo infatti una serie di quarantatre riquadri che illustrano l’Apocalisse.

Uno di questi in particolare mostra la bestia incoronata con le tiare papali. Questo dettaglio ha per molto tempo incuriosito i visitatori e continua a farlo tutt’oggi. Perché Giusto de’ Menabuoi decise di aggiungere il dettaglio delle tiare papali? Cosa voleva dirci?

In tutti i riquadri le scene dell’Apocalisse vengono rappresentate in modo del tutto conforme con le descrizioni fornite nei testi sacri. Tutti meno quella che illustra la bestia che sale dal mare. Così ci viene infatti descritta nel passaggio biblico:

Poi vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi. La bestia che io vidi era simile a un leopardo, i suoi piedi erano come quelli dell’orso e la bocca come quella del leone. Il dragone le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità. E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia; e adorarono il dragone perché aveva dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia? e chi può combattere contro di lei?»

La “licenza poetica” di Giusto de’ Menabuoi lascia quindi del tutto perplessi, per lo meno finché non prendiamo in considerazione il contesto storico.

Il pittore esegue l’affresco durante il soggiorno del papato in Francia, noto storicamente come la “cattività avignonese”. Fra il 1309 e il 1377 infatti il papato abbandonò Roma per insediarsi ad Avignone, una situazione di esilio che venne paragonato a quello degli ebrei in Babilonia e per questo all’epoca denominato anche “nuova cattività babilonese”.


Fu una decisione che mirò a rassicurare Filippo il Bello, che si era trovato in rotta di collisione con il papato di Bonifacio VIII. Mantenere stretti contatti politici con la Francia divenne di primaria importanza, in quanto Filippo il Bello minacciava di causare un scisma all’interno della Chiesa. Il neoeletto papa francese Clemente V decise così di trasferire il papato ad Avignone.

Clemente V fu il settimo papa francese nella storia della Chiesa. Fu solo una coincidenza quindi che la bestia – con appunto sette teste – venne rappresentata da Giusto de’ Menabuoi con le tiare papali?

Come scrive Petrarca, canonico del duomo di Padova, la situazione della Chiesa in quel periodo era tutt’altro che idilliaca. Secondo lo scrittore italiano, la Chiesa era “povera, inferma, miserabile, derelitta, coperta degli abiti della vedovanza, giorno e notte ella piange mestamente”. Proprio per questo, l’opinione generale nei confronti di Clemente V non era priva di pesanti critiche. Petrarca, così come Caterina di Siena, implorò invano Clemente V di tornare a Roma.

In ultima analisi, l’affresco di Giusto de’ Menabuoi potrebbe così venire interpretato come una critica politica all’operato di Clemente V.

redazione