Si è conclusa giorno 13 settembre la seconda edizione del NoLo Fringe Festival, una rassegna di arti performative che vuole dare spazio a spettacoli multidisciplinari di ogni tipo e genere, caratterizzata dal gusto della sperimentazione, ospitata in spazi non convenzionali, all’interno del quartiere NoLo di Milano.
Per chi non lo sapesse NoLo sta per North Of Loreto, un acronimo che scimmiotta in modo ironico quartieri newyorkesi come SoHo e TriBeCa. Un quartiere che si estende da Piazzale Loreto ai ponti della ferrovia di Stazione Centrale, a via Leoncavallo, che nasce operaio a partire dalla prima metà del Novecento, attraversa anni di difficili convivenze tra identità diverse, e arriva ad oggi come uno dei quartieri più multietnici e in fermento di Milano ed una culturalmente vivace.
Il NoLo Fringe Festival, nei suoi sei giorni, sebbene con le restrizioni dovute dal Covid, ha visto la rappresentazione di spettacoli teatrali in luoghi atipici come locali, pub, palestre, spazi eventi, coworking, circoli, ristoranti, parchi, tra la gente.
Diviso in due sezioni: il programma ufficiale in cui sei compagnie, selezionate tramite bando, ogni sera sono andate in scena sui sei “palchi” principali del festival, e poi un Fringe Extra che raccoglie altri spettacoli, concerti, performance e incontri in diversi luoghi del quartiere. La maggior parte degli eventi è ad ingresso gratuito e, in questa edizione, contingentato previa prenotazione.
Nell’ambito del programma ufficiale abbiamo assistito allo spettacolo The ridere, presso il Ghepensi MI, locale in zona NoLo, spettacolo che ha ricevuto tra l’altro la “Menzione speciale Stratagemmi” all’interno del festival. I due interpreti Salvatore Aronica e Stefano Barra mettono in scena un tragicomico spettacolo che racconta l’apice e il declino-baratro di un strampalato duo comico: i Pappagallini, i quali riescono a fare successo con un demenziale tormentone, pur odiando in verità i tormentoni. Amori e dissapori all’interno della coppia comica li porteranno ad auspicare una divisione (anche con metodi radicali), che si dice (e la storia lo dimostrerebbe) possa rappresentare il successo (o la catastrofe definitiva) per i singoli componenti di un duo comico.
Umorismo caustico e profonda autoironia caratterizzano lo spettacolo il cui tema principale è in realtà la fallacia del successo. Come è possibile davvero raggiungerlo? Si chiedono gli autori e il talento comico esiste davvero, o il comico in fondo non è che un guitto destinato a ridicolizzarsi sulla scena? Cos’è in fin dei conti “il ridere”?
Tutto ciò avviene attraverso una ridicolizzazione totale del ruolo del comico tramite dialoghi spiazzanti, imbarazzanti esibizioni da parte dei Pappagallini, e soprattutto le snervanti attese che precedono le loro esibizioni, in cui i due condividono le loro ansie e le loro fantasticherie. Il risultato finale è che il duo fa ridere sulla scena proprio per il suo non far ridere.
Questo pessimismo sull’arte del comico in genere viene enfatizzato in un crescendo fino al derisorio finale. I dialoghi funzionano, se si pensa anche che il tutto è retto esclusivamente dal duo. Nel complesso si ride della serietà depressa dei due clown, che bisticciano per non andare in realtà da nessuna parte e ritornare infine a banali, triti e ritriti tormentoni. Un po’ troppo beffarda e dissacrante la rivelazione finale sulle qualità d’autore “nascoste” di Pappa, il che rende lo spettacolo forse troppo nichilista. Accattivante comunque l’idea di incentrare tutto su un non spettacolo, deridendo l’arte del comico, anche attraverso molteplici citazioni.