Intervista a Sara Ciuffetta: cosa significa travestirsi da pietra?

Prendetevi un attimo, solo un attimo di respiro da tutto quello che state facendo, per ascoltare la voce di questa giovane donna che racconta la sua vita, quella di un’ artista, quella di chi, via da chi scoraggia, via da chi non lotta, ci crede, ci crede con tutto il cuore e, come direbbe Guccini, è fiero del suo sognare, di questo eterno incespicare. La parola a Sara Ciuffetta.

Com’è nata la tua passione per l’arte? Secondo te, sinceramente, quanto conta avere un talento artistico al giorno d’oggi?

Non mi ricordo un momento preciso, credo di avere sempre avuto interesse per il disegno e per il colore che sono i primi mezzi che avvicinano un bambino alla creatività, all’espressione di se stessi e del mondo che li circonda. Spesso mi viene da pensare che le persone non nascono già con dei talenti quindi non credo di averne, forse mi sbaglio ma mi resta più facile pensare a delle predisposizioni che, poi, per una serie di situazioni, di eventi e, soprattutto, rispetto a degli incontri o a degli insegnamenti si condensano in un qualcosa di più concreto. Credo più ad una serie di esperienze che entrano in contatto con l’unicità di quello che siamo e poi si decide se approfondirle, prenderle più o meno seriamente e perseguire con più o meno forza o con intensità certi obbiettivi.

Penso che vivere di arte sia stato difficile per moltissimi artisti di tutti i tempi, perseverare e credere in ciò che si fa conta più di ogni altra cosa.

Ho osservato con intimo trasporto i quadri esposti a Chieti, i tuoi e quelli degli altri. So che hai curato tu la mostra. Cosa vuol dire curare una mostra e in base a quali criteri hai fatto le tue scelte?

In realtà mi sono solo improvvisata curatrice perché ho studiato e lavorato sempre con l’obiettivo di diventare un’artista. Il curatore è un’altra cosa: è una figura molto importante per il mondo dell’arte, è un operatore culturale che teorizza, in qualche modo propone l’arte, studia i percorsi e le ricerche degli artisti rispetto a tutta la storia dell’arte e al mondo contemporaneo. C’è da dire anche che, spesso, gli artisti si trovano a dover spiegare e comunicare il proprio lavoro, quindi in qualche modo diventano prima di tutto curatori di loro stessi. La Pinacoteca della Camera di Commercio di Chieti non si occupa specificamente di arte contemporanea, dunque per me è stato un esperimento anche per raccogliere proposte di artisti molto giovani o studenti ai quali poi ho cercato di affiancare qualche artista con più esperienza e che conosco personalmente.

Credo che l’arte abbia un ruolo importante, serve all’uomo per parlare del suo tempo, per mettere in discussione alcune cose, per sensibilizzare, per far pensare, per toccare le coscienze e magari migliorarle. Tutte le mie scelte sono state prese in base a degli scopi che prima ho dovuto chiarire con me stessa e poi con le persone che a mano a mano ho scelto rispetto alle loro personalità e al loro lavoro artistico. Corpomente – arte e medicina lavorano, non era solo una mostra ma era anche un progetto di attivismo sociale e non tutte le persone sono disposte o sono pronte a fare entrambe le cose, ad alcune probabilmente non interessa neanche.

Come descriveresti l’arte di Sara Ciuffetta?

E’ interessante questa domanda, credo che il mio percorso lo descriverei come qualcosa di difficoltoso, di veramente sudato. Penso alla parola evoluzione, sento di crescere e la fatica, a volte, mi fa apprezzare profondamente ogni piccolo passo che sento di fare. Il problema è che ci vuole molto tempo, credo che se avessi due vite probabilmente raggiungerei molti più obiettivi , vedremo cosa riuscirò a farne con una sola.

Cosa significa, per te, “travestirsi da pietra”?

Il lavoro è nato da una scultura ricavata da una pietra cercata nel fiume tra le cave di Seravezza (LU) dove ci sono le cave di marmo, sulle Alpi Apuane e dove spesso lavoro. Un sasso con le misure circa della mia testa, poi svuotato.

Serve a travestirsi in qualcosa di naturale e diventa Mi travesto da pietra (titolo della serie fotografica che mi ritrae in diversi momenti di vita quotidiana o in posa). Un travestimento da pietra vuol dire estraniarsi dal mondo contemporaneo ma ritrovarsi in un’intimità primordiale, concentrarsi su se stessi, riavvicinarsi alla natura o svuotarsi da pensieri che a volte possono disturbare il nostro equilibrio.

Secondo te, la vita dell’artista è una figata?                            

Non so, credo che sia sicuramente diversa da quello che molti immaginano, anche io pensavo fosse solo una figata invece è anche davvero difficoltosa. Non si può definire la vita dell’artista come se fosse un target: ogni artista ha una sua storia e immagino che sia cosi per tutti i lavori. La mia vita credo sia un continuo rischio, costruisco da sola il mio percorso avendo vicino persone che mi vogliono bene, ne sono felice, a volte avverto ansia e paura ma sto imparando che spontaneamente non riesco a smettere di lavorare alle mie cose, quindi ,probabilmente è proprio ciò di cui ho bisogno.

Ultima domanda: c’è qualche “rito” (es. ascoltare una canzone o leggere l’oroscopo o qualsiasi altra cosa) che fai prima di dedicarti ad una tua creazione?

La maggior parte delle volte le idee mi vengono in mente in occasioni quotidiane, spontaneamente. Penso ai miei progetti sempre, probabilmente ho acquisito un certo modo di osservare le cose per cui prendo spunto dalla realtà continuamente e indirettamente. Lascio qualcosa di scritto o disegnato su taccuini, fogli o quello che ho al momento e poi li sviluppo con calma nel mio studio o dove mi trovo a lavorare. Non ci sono riti ma solo voglia, attenzione, concentrazione e poi impegno e risoluzione. Non credo nell’ispirazione ma più nell’intuizione, nella sensibilità e nel lavoro fatto con la testa e con il cuore.

Alessandra Nepa