“Alla ricerca del tempo perduto” è non solo la più importante di tutte le opere di Marcel Proust, ma anche uno dei più grandi capolavori della letteratura universale. Importante dal punto di vista letterario e filosofico (poiché l’autore, con essa, ha voluto cercare di intuire di cosa sia composto il tempo, per poterne poi fuggire il corso), il romanzo è entrato anche nel Guinness dei Primati come il più lungo del mondo, con oltre nove milioni e mezzo di caratteri, scritti in più di 3000 pagine. Il primo dei sette volumi in cui, per ragioni editoriali, è divisa l’opera, apparve nel novembre del 1913, gli altri invece videro la luce solo dopo la fine della prima guerra mondiale. Durante questi anni, Proust continuò a lavorare sull’opera, tanto che l’ultimo volume si espanse fino a comprenderne tre, che vennero pubblicati postumi. E proprio le continue correzioni ed aggiunte, una vera e propria abitudine dell’autore, hanno trasformato una fetta di pane tostato nelle madeleine di Proust.
Nel tratto che ha reso famosi questi biscotti a forma di conchiglia, Marcel assaggia distrattamente un pezzetto di biscotto inzuppato nel tè ed il gesto lo fa trasalire. Improvvisamente lo avvolge una piacevole sensazione, ma non riesce a capirne il motivo. L’unica certezza è che essa è legata al sapore appena gustato: “All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio…“
Quando Proust cominciò a scrivere il primo volume della Ricerca, dal titolo “Dalla parte di Swann“, era il 1907 e la madeleine era in realtà un pain grillé, del semplice pane tostato e spalmato di miele. Nella seconda stesura Proust già parla di un generico biscotto, termine che in francese indica sia i biscotti di frolla che le fette di pane “biscottate”. Solo nella terza stesura, fra tutte le note e le correzioni aggiunte dall’autore, ritroviamo la famosa madeleine di Proust, un pasticcino molto comune in Francia, simile a un plumcake ma più burroso. Le madeleine – in italiano maddalene – sono a forma di conchiglia e molto popolari a Combray, la quale era una delle tappe dei pellegrinaggi medievali che da Parigi si dirigevano verso il Santuario di Santiago di Compostela. Il dolce ha la forma della conchiglia che i pellegrini, una volta giunti a Santiago, attaccavano al loro cappello.
Con la descrizione di quel momento, Proust introduce uno dei temi fondamentali della filosofia alla base del romanzo, cioè la memoria involontaria che ci dà la possibilità di rivivere momenti passati che associamo a determinate sensazioni, recuperando così il tempo passato. Per Proust, infatti, sono due le tecniche di recupero del “tempo perduto”: la memoria volontaria, che ci permette di richiamare alla mente i dati del passato in termini logici, senza accennare ai sentimenti che rendono irripetibili quei determinati momenti, e la memoria involontaria o spontanea, che permette di “sentire” con contemporaneità il passato e di rivederlo nel suo clima.
Insomma, che abbia mangiato pane con miele o madeleine, quel pasto ha segnato un punto di svolta e la metafora delle madeleine di Proust è diventata una delle più famose della letteratura del Novecento.