Decisamente riuscito questo nuovo thriller di Jeremy Rush in esclusiva Netflix, (disponibile dal 20 ottobre) girato quasi interamente dentro un’automobile. L’Autista del titolo, interpretato da un Frank Grillo in ottima forma, è un ex galeotto, che ha una vera e propria dipendenza per i motori, il quale, uscito dal carcere, per ripagare il debito con un clan malavitoso che si è preso cura della sua famiglia durante la sua prigionia, è costretto a guidare durante un’ultima rapina, ma fin dal principio le cose non vanno come dovrebbero. Il mandante del colpo, infatti, dà al protagonista degli ordini incongruenti con quanto inizialmente pattuito, obbligandolo ad azioni impreviste, che lo immetteranno in una rete di intrighi difficile da sciogliere.
Filo conduttore del film sono la macchina e il cellulare dell’Autista. La prima è un centro di comando, un micromondo in cui l’uomo si sente al sicuro e da cui si snodano tutte le sue scelte, che incidono conseguentemente sull’intreccio del film. Collegato con gli auricolari al suo dispositivo, il protagonista cerca di districarsi nell’aggrovigliata situazione in cui si è cacciato. La sua rabbia, i suoi dubbi, le sue risoluzioni sono rispecchiate dalle direzioni intraprese dal suo veicolo, vera e propria continuazione di sè stesso. Non a caso l’Autista ha scelto un’auto dal cambio manuale, invece che una dal cambio automatico, di solito consigliata per le rapine, perché, durante la guida, egli vuole sentire l’auto con tutto sè stesso, per imboccare da solo e senza altra guida le strade migliori, le giuste decisioni che sono in grado di salvarlo. Oltre alla sua precaria e pericolosa situazione con i malavitosi, egli deve al contempo risolvere problemi familiari con la figlia e la moglie, da cui è separato. E’ così, in un crescendo, abilmente scandito da una convincente sceneggiatura, sorretta dalla significativa performance attoriale di Frank Grillo, che la tensione viene mantenuta con abilità per tutta la durata del film.
Dal punto di vista registico è acuta l’idea di sovrapporre il campo visivo della macchina da presa con quello che una persona potrebbe avere dall’interno dell’auto. In questo modo l’autore attua una fusione quasi totale tra l’Autista, il veicolo e lo spettatore. La vettura e le strade diventano il palcoscenico e il fulcro della storia. Questa operazione non è nuova. Tra le pellicole recenti che l’hanno attuata si annovera senz’altro “Locke” di Steven Knight, con Tom Hardy, unico attore che compare nel film. In questo caso il protagonista è in viaggio per raggiungere una località e si ritrova a confessare i suoi segreti e a prendere decisioni cruciali per la sua vita, proprio dall’interno della sua macchina, comunicando attraverso gli auricolari del suo telefono.
Nonostante le somiglianze tra i due film, in “Locke” l’impianto è più teatrale che filmico; il genere drammatico-esistenziale, piuttosto che thriller. La peculiarità di “L’autista”, invece, è quella di essere coinvolgente e serrato per tutta la sua durata (1h e 20min) e non avere cali di suspance, nonostante la monotematica ambientazione. In tale direzione influisce positivamente il senso di pericolo che il regista riesce a creare rispetto al mondo che sta al di fuori della macchina dell’Autista. Le strade anonime in cui egli si aggira appaiono deserte e insicure. Niente, nemmeno le persone, sono degne di fiducia, tranne i familiari e la macchina, che per il protagonista, un ex delinquente, non certo un santo, riammesso da poco nella comunità delle persone libere, è l’unica vera casa, l’unico rifugio possibile. Solo in casi estremi egli è disposto ad abbandonarla. Sul finale, emblematica la scena in cui l’uomo contempla dall’interno dell’auto la figlia e la moglie che si ritrovano. Perfino i suoi affetti più cari vengono filtrati dal vetro appannato di una macchina, così come gli insegnamenti di vita che egli può dare alla figlia, mediati da una lezione di guida.
Frank Grillo, anche produttore del film, rende con grande carisma l’oscurità di questo personaggio senza nome, che si aggira per le strade. L’attore si svincola da ruoli per lo più secondari affidatagli in altre pellicole (tra cui Warrior e Avengers 2), dimostrando finalmente le sue grandi capacità, nel one man show affidatogli. Il regista Jeremy Rush, anche sceneggiatore, manovra bene l’intreccio e la macchina da presa, avvalendosi spesso di piani sequenza. Il suo è un film che ha ritmo, solido e senza sbavature. Come il protagonista corre imperterrito e con personalità verso il traguardo finale. Le atmosfere noir metropolitane rievocano tra l’altro quelle di “Collateral” di Michael Mann, in cui un tassista (Jamie Fox) viene sequestrato da un killer di professione (Tom Cruise) che lo coinvolge nell’attuazione dei suoi omicidi. Anche in quel film il taxi è un luogo-trappola, ma anche un rifugio, in cui autista e assassino condividono le loro rispettive e contrapposte visioni del mondo. Nonostante i confronti con altre pellicole girate interamente in auto, però, “L’Autista” emerge con un’identità tutta propria, che lo rende uno dei film più interessanti finora prodotti in esclusiva su Netflix.