“Un protagonista che continua a lasciare il segno regalandoci personaggi e interpretazioni sempre indimenticabili”: questa la motivazione del Nastro d’argento alla carriera assegnato per quest’insolita annata che stiamo vivendo a Toni Servillo.
Indimenticabile interprete del cinema italiano contemporaneo dalla risonanza internazionale, l’attore ha debuttato negli anni Novanta nel film di Martone “Morte di un matematico napoletano” e così, muovendo i primi passi nel solco della tradizione, ha contribuito ad un rinnovamento del nostro cinema che spesso passa inosservato.
Il sodalizio con Sorrentino è la prima cosa che viene in mente quando pensiamo a Toni, ma come mai il noto regista sceglie quasi sempre per i suoi film quest’attore come protagonista? E da quando?
Tutto ebbe inizio con “L’uomo in più” del 2001, che segnò anche il debutto alla regia di Paolo, mentre Toni aveva già riscosso una tale popolarità con una certa gavetta cinematografica. Tuttavia, non solo cinema: da autodidatta si appassionò al teatro sin dall’infanzia, spinto anche da una famiglia non di attori, ma di appassionati. Il suo debutto teatrale avvenne presso l’oratorio salesiano di Caserta, passando poi da una compagnia all’altra negli anni della contestazione giovanile.
Ecco dove sta il segreto delle sue ottime interpretazioni costanti: l’arte del teatro, una recitazione misurata, accademica, di penetrazione totale nei personaggi, che ha saputo adattarsi con versatilità e di volta in volta ai diversi lavori nei quali ha preso parte nell’ambito della settima arte.
Nulla da togliere a tanti bravi interpreti di oggi in Italia, ma forse la sua unicità e singolarità espressivo-verbale mai troppo caricata risiede proprio in una passione che l’ha spinto ad intraprendere una delle strade più belle, trascorrendo molti anni sui palcoscenici prima di passare dietro una macchina da presa.
Il Teatro e il Cinema non sono una meglio dell’altra come forme d’arte- sia chiaro- ma è indubbio che una durevole formazione teatrale di qualità alle spalle possa costituire un valido supporto ad una recitazione cinematografica comunque complessa, ma resa ancora più professionale per completezza se aiutata da quell’altra forma d’arte non più nobile, ma millenaria.
E forse questo fortunato sodalizio, che oggi persino i muri non ignorano dopo il clamoroso successo de “La grande bellezza”, trovò subito terreno fertile che ne legittimava la prosecuzione vista la corrispondenza di “amorosi sensi” che unisce i due artisti. Infatti, anche Sorrentino ha iniziato da autodidatta.
Purtroppo il regista non ama rilasciare molte interviste, quindi possiamo solo immaginare la sua gioia di collaborare ormai da anni con l’attore, mentre Servillo fu ben lieto di dichiarare qualche tempo fa:
“Con Paolo si è creato subito un rapporto speciale, una sintonia intellettuale e artistica particolare, un alchimia sul set che vantano solo alcuni binomi regista-attore storici nel cinema. Quando lavoro con Paolo sento come principio sottile il fatto che il regista quasi mi mandi avanti, a testimoniare zone che lui non riesce ad esprimere proprio per il ruolo che ricopre, che è quello di essere e rimanere nascosto.”
Ecco qual è il segreto dell’origine di una collaborazione di successo destinata a continuare nel tempo e ad infondere sempre luce al cinema italiano nel mondo: l’alchimia. E se Servillo l’ha rilasciato nel corso di un’intervista a differenza di Sorrentino, possiamo però dedurre che sia un pensiero condiviso, altrimenti che alchimia sarebbe?