Mercoledì scorso sono apparsi per tutta Roma manifesti di commiato, grido di dolore e di denuncia di Oberdan Zuccaroli -amministratore di un’azienda romana occupata nel settore delle affissioni- che ha perso la propria madre e non riesce a darle una degna sepoltura a causa delle restrizioni per l’emergenza covid.
La storia di Oberdan è sola una delle tante che ascoltiamo ormai da un anno, tragedie che si sommano e continuano a ricordarci l’assoluta follia della situazione che stiamo vivendo.
Perché se è vero che la nostra vita è stata completamente stravolta dalla pandemia, anche la morte ne subisce la violenza cieca, ineluttabile. Ma cosa comporta non poter più vivere la morte, non poterla esorcizzare? Come vivere il lutto ai tempi del covid-19?
Secondo Robert Hertz -celebre antropologo francese del secolo scorso- lo scandalo della morte si abbatte su un intero gruppo sociale e ne mette in pericolo la coesione. Per questo motivo, è necessario affrontare la perdita, riassorbirla in un sistema di pratiche e riti; per poterla metabolizzare e tornare alla propria quotidianità.
Perché il lutto rischia di sgretolare il gruppo, atomizzarne i componenti e lasciarli soli, smarriti. E sebbene nessuna messa o funzione sacra possa cancellare il dolore; sentirsi accuditi e confortati dai propri cari o dai compagni di fede può lenirlo, permettendoci di non lasciarci andare alla disperazione. Incanalare la sofferenza e resistere.
Ma, come il caso di Oberdan Zuccaroli ci rammenta, non abbiamo più la possibilità di fare tutto questo; ogni giorno appare uguale a quello precedente, e il lutto si staglia come un accidente, un fulmine che squarcia questo cielo monotono e grigio. Siamo smarriti, in bilico tra la sensazione di star subendo una profonda ingiustizia e l’incapacità di realizzare la perdita; fra l’inevitabilità della sofferenza e l’impossibilità di affrontarla.
Ecco, come molte delle questioni sollevate dalla pandemia, anche per questa non esiste una risoluzione miracolosa e immediata; dobbiamo aspettare che passi la burrasca; solo allora potremo rimettere assieme i pezzi, ricostruire le nostre vite, e infine vivere la morte.
Una delle parole più abusate del nostro tempo è sicuramente “resilienza”, non me ne vogliate quindi se la utilizzo anche io; perché è vero che la resilienza, la capacità di non cedere agli eventi e mantenere la nostra forma, nasce proprio dai momenti di crisi, da quelle situazioni che sembrano privarci di tale forma e renderci rarefatti, insicuri.
Affrontiamo la trasformazione, se non con la presunzione di uscirne migliori; almeno provando a non lasciarci travolgere dagli eventi, a non soccombere.