Le Loi de la jungle: l’amore ai tempi dello stagismo

La Francia è la Guiana e la Guiana è la Francia” è una battuta che ricorre spesso nel film francese di Antonin Peretjatko, “Le Loi de la jungle” (del 2016) proiettato in anteprima al Golden Elephant World Festival di Catania. Fin da subito la pellicola assume il tono della satira demenziale, con tocchi più o meno accentuati di comicità grottesca. Ad innescare le strampalate avventure dello stagista Marc Chataigne (Vincent Macaigne), è il folle progetto del governo francese di costruire un centro sciistico nel bel mezzo della giungla per favorire anche in quei luoghi il turismo invernale. Anche la Guiana, infatti, come spiega il ministro della Standardizzazione è parte integrante dei domini francesi e “lì dove c’è la Francia, non vi è impresa che sia impossibile, nemmeno costruire piste ghiacciate nella foresta equatoriale”. Così allo stagista ritardatario e sfortunato viene “appioppato” l’incarico più scomodo di tutti: recarsi in Guiana per conto del Ministero, per verificare che il progetto sciistico sia a norma degli standard previsti dall’Europa.

Dopo essere sfuggito ad un invasato agente del fisco, che in una scena a dir poco kafkiana, ha occupato senza il suo permesso la sua abitazione, distruggendo la maggior parte dei mobili e dei suoi effetti personali, sbagliando persona, il protagonista è pronto a partire per la Guiana, con gli scarsi mezzi a sua disposizione. Il suo viaggio è una vera e propria epopea satirica (un po’ alla “Candido” di Voltaire), in cui incontra funzionari inefficienti, tra cui Galgaric, il responsabile del progetto (interpretato dal sempre convincente Mathieu Almaric – tra i suoi film “Lo scafandro e la farfalla”, “Pollo alle prugne”, “Venere in pelliccia”), il quale in realtà non ha la minima idea concreta di come realizzare l’opera che gli è stata affidata.

Per guidarlo nella pericolosa terra amazzonica Marc Chataigne  viene affiancato da una donna , soprannominata “Tarzan” (Vimala Pons) per la sua destrezza nella foresta equatoriale, anche lei stagista in Guiana. I due, come è facile intuire si perdono ben presto nella giungla e sono costretti ad affrontare insetti velenosi, serpenti e pericoli di ogni genere. Nel tragitto, più o meno rocambolescamente, anche a causa di un surplus di afrodisiaci, si innamorano. Costretti dalle necessità, cominciano perfino ad apprezzare la giungla, nonostante i suoi pericoli e le creature disgustose incontrate sul loro cammino, tanto che alla fine del film non potranno più farne a meno.

Attraverso la metafora demenziale della giungla amazzonica il regista Peretjatko distrugge sarcasticamente l’idea della grandezza autocelebrativa francese. Questa presa in giro è forse riassunta  nella scena in cui Chataigne afferma “Certo che la Francia è ovunque” contemplando una statua della Marianne (simbolo della Rivoluzione Francese), caduta per sbaglio da un elicottero nel centro della foresta amazzonica. Il governo, i funzionari, i responsabili sono macchiette, destinate ad essere fagocitate, o lobotomizzate dalla giungla. Bravi a parole, ma inconcludenti nei fatti. I progetti europei proliferano, ma finiscono puntualmente in un pantano. E’ così che in un epoca di crisi lavorativa e di “eterni stagisti”, quali sono Chataigne e Tarzan, una giungla appare quasi migliore e preferibile alla Francia, o meglio è  la Francia la vera giungla, burocratica , istituzionale, così da sovvertire il significato dell’affermazione iniziale: La Francia è la Guiana e la Guiana è la Francia.
L’amore dei due stagisti puo’ esistere solo su una barca su un lago amazzonico, infestato dai coccodrilli e dagli insetti, come a dire che possa esistere solo  accettando le incertezze e l’insicurezza di un’epoca di crisi come quella attuale, un’epoca in cui la fine è sempre in agguato (non a caso il film ha ben 2 finti finali, di esito decisamente nefasto).

La Loi de la jungle” è quindi un film pungente e fortemente satirico. A dir poco sopra le righe, esagerato e originale visivamente e come sviluppo. Non manca tuttavia di alcuni difetti. La sua esuberanza, infatti, diventa in alcuni punti anche un limite. L’eccessiva quantità di “carne al fuoco”, a tratti puo’ risultare sfiancante per lo spettatore. Se l’inizio del film e l’arrivo del protagonista in Guiana sono dirompenti per la loro demenzialità e imprevedibilità, la parte centrale, quella ambientata nella giungla risulta a tratti stagnante come le paludi in cui si immergono i protagonisti, perché non si sviluppa su una trama, ma sulle rocambolesche avventure dei dispersi, a volte un po’ ripetitive.  E’ probabile che in parte l’effetto sia voluto,  ma alcuni sketch sono meno divertenti di altri e appesantiscono la visione. Probabilmente una selezione più mirata e la cesura di alcune scene superflue avrebbe reso complessivamente più scorrevole la pellicola e le avrebbe permesso di andare  con più facilità al suo messaggio critico. Il cast è ben scelto e fin dall’inizio è indirizzato verso una recitazione fortemente caricaturale. Simpatici il protagonista e la ragazza così come gli strambi e inconcludenti funzionari.

Concludiamo l’articolo segnalandovi qualche altro film su “imprese impossibili nella foresta amazzonica”.  Innanzitutto “Mosquito Coast“, gran bel film di Peter Weir, con Harrison Ford. Dal taglio drammatico il film racconta la storia di Allie Fox, inventore anticonformista che rifiutati i modelli del capitalismo, si trasferisce con la famiglia in Amazzonia, dove acquista un villaggio per costruirvi all’interno una macchina per fare il ghiaccio (non una stazione sciistica come in Le Loi de la jungle). Il viaggio si trasformerà in un percorso sempre più radicale che spingerà il protagonista e la sua famiglia a vivere nella foresta amazzonica in condizioni proibitive ( il tema è stato affrontato dal recente “Capitan Fantastic”, ma con intensità decisamente minore). L’altro film è “Fitzcarraldo“, di Werner Herzog, film drammatico e d’avventura in cui il protagonista ha un sogno impossibile: costruire un Teatro dell’Opera ad Iquitos, nel bel mezzo della foresta equatoriale.