L’ Uccello Dalle Piume di Cristallo di Dario Argento è un film da ricordare e rivedere

L’Uccello Dalle Piume di Cristallo (1970) di Dario Argento. Il film (ispirato al romanzo La Statua che Urla di Fredric Brown) possiede la struttura tipica del giallo (chi è il colpevole?, colpo di scena finale) che, da Suspiria in poi, verrà abbandonata (per privilegiare l’estrema violenza, gli effetti sanguinolenti, il delirio gotico e le trame oniriche e assurde) e ha atmosfere e tematiche che anticipano quello che è considerato il suo capolavoro (Profondo Rosso).

Ad esempio la voce sussurrata al telefono, il riferimento all’arte (un quadro spiegherà il mistero), la follia declinata al femminile, il particolare che il protagonista non riesce a ricordare e verrà in mente solo alla fine permettendo di capire chi sia il colpevole, la psicologia strettamente connessa alla psichiatria (l’assassino non ha un vero e proprio movente, ma l’unica spiegazione dei suoi delitti è la follia), le nenie infantili, il trauma giovanile che porta alla devianza…

Rivedere oggi il film e confrontarlo con le sue ultime realizzazioni provoca disagio e rammarico per gli amanti del genere e per quanti credevano che l’Italia avesse generato un novello Hitchcock. Scrive Luca Margaritelli: “Lasciati alle spalle gli splendidi (cinematograficamente parlando) anni ’60 in cui la cinematografia italiana continuava a dettare legge nel mondo, anche dopo l’esaurimento della vena neorealista, grazie all’affermarsi della cosiddetta “commedia all’italiana” (da non confondersi con le schifezze odierne paratelevisive) e con registi scoperti dal grande pubblico con opere innovative e coraggiose (Leone e Bava su tutti), nel 1970 il mondo del cinema vide affacciarsi all’orizzonte un regista (Dario Argento) che proprio dai Maestri ebbe l’input realizzativo, anche se in modi differenti: con Sergio Leone poiché prese parte alla realizzazione, assieme a Bernardo Bertolucci, del soggetto di C’era Una Volta il West (1968); riguardo a Bava, nonostante non collaborarono mai, in ogni suo film, sia thriller che horror, aleggia l’ombra del buon Mario Bava, anche se bisogna dire che già dal suo primo lavoro L’Uccello dalle Piume di Cristallo (1970), Argento improntò la sua opera con uno stile sia narrativo che figurativo talmente personale e geniale che non tardarono ad arrivare i cloni”.

Un film caratterizzato dal simbolismo cromatico (sempre presente in Argento) ma non solo: Oltre alla parte visiva, affidata alla fotografia di V. Storaro, hanno grande importanza suoni, rumori, amplificazioni e distorsioni(il Morandini). Tra l’altro, scrive Andrea Del Gaudio, non si può non notare che la splendida macchina da presa di Dario Argento riesce a trasformare una città caotica e “solare” come Roma in un luogo buio e cupo, sottofondo ideale per incubi.

Più di uno gli omaggi ad Alfred Hitchcock: Reggie Nalder, nel film l’inseguitore col giubbetto giallo, è ne L’Uomo che Sapeva Troppo, il killer assoldato per uccidere nel teatro il capo di stato estero; la spiegazione finale ad opera di uno psichiatra ed in diretta TV è  chiaramente ispirata a Psyco.

Primo film della trilogia contenente nel titolo il nome di un animale (seguiranno Il Gatto a Nove Code e Quattro Mosche di Velluto Grigio), quando uscì nel 1970 fu accolto all’inizio in modo abbastanza freddo, con incassi piuttosto deludenti, ma poche settimane dopo le cose cambiarono e così la pellicola si rivelò uno dei maggiori successi commerciali di quell’anno.

Racconto avvincente, ottime tensione e suspense, bravi e misurati gli interpreti tra cui spiccano un convincenteTony Musante (famoso più per i ruoli italiani che americani: il suo nome è legato soprattutto a Metti, Una Sera a Cena del 1969 e Anonimo Veneziano del 1970) e il sempre bravo Enrico Maria Salerno (negli anni 70 molto utilizzato nei gialli).

Insomma un film che è sempre un piacere rivedere, di per sé perfetto (purtroppo giunge notizia che Hollywood stia pensando a un remake).

redazione