“Cos’è la famiglia? È il posto del cuore e della cura”.
Aldilà del preziosissimo David di Donatello appena conseguito come miglior attrice protagonista de “La dea fortuna” (2019, regia di Ozpetek), Jasmine Trinca c’ha lasciato in eredità questo splendido pensiero, dalla semplice profondità racchiusa in una piccola frase.
Non solo: è anche il senso del recente capolavoro firmato dal regista italo-turco, dal quale lei ha saputo apprendere, ricordandolo a Carlo Conti e ai telespettatori nel corso della diretta della cerimonia di premiazione, che non è il numero elevato di battute a rendere protagonista un attore. Difatti, la sua parte è ugualmente significativa nel film, anche se lei non è molto presente, e ha saputo lasciare il segno per l’ennesima volta, interpretando alla perfezione il ruolo di una mamma che soffre.
Ma a proposito di segno, il suo destino di carriera cinematografica era già tracciato quando debuttò nel capolavoro di Nanni Moretti “La stanza del figlio” (2001), facendosi notare giovanissima nel ruolo tenero di una donna sempre alle prese con una sofferenza, anche se adolescente. E fu subito candidata al David, stavolta come miglior attrice non protagonista.
A quel punto fu notata da critici e registi, tant’è che due anni dopo la volle nel cast del suo miglior film Marco Tullio Giordana, cosicché ormai è divenuto un’icona il viso dell’attrice sulla locandina de “La meglio gioventù”, una pellicola del 2003 considerata secondo “Metacritic” la più apprezzata da parte della critica mondiale nel 2005.
Anche in quest’occasione riportò solo una candidatura al David come miglior attrice non protagonista, ma è ormai passato alla storia quanto lo stesso lungometraggio il suo difficile ruolo qui di ragazza problematica dall’acutissima sensibilità, dallo sguardo commovente in più momenti.
I successivi “Manuale d’amore” e “Romanzo criminale” non le hanno valso né premi né candidature, ma sono titoli importanti e di successo anche critico, trampolino di lancio ormai avviato che le consentì di essere richiamata da Nanni Moretti nel 2006 per “Il caimano”: e fu di nuovo candidatura al David come miglior non protagonista.
Spaccava lo schermo anche se non aveva ruoli di primo piano, per cui dopo la terza candidatura donatelliana fu la volta di registi del calibro di Milani e Placido, che la vollero rispettivamente per “Piano, solo” (2007) e “Il grande sogno” (2009).
Se “Ultimatum”, “L’Apollonide” e “Ti amo troppo per dirtelo” sono titoli passati nel dimenticatoio, “Un giorno devi andare” di Dritti le ha valso una candidatura nel 2013, stavolta come miglior attrice protagonista. Lo stesso per “Miele” della Golino del medesimo anno, un film dai risvolti psicologici, attuali, drammatici.
“Une autre vie” di Mouret e “Saint Laurent” di Bonello confermano il suo successo all’estero, mentre “Maraviglioso Boccaccio” e “Nessuno si salva da solo”, rispettivamente dei fratelli Taviani e di Castellitto la vedono ormai lanciata nel cinema d’autore italiano. E a proposito del film di quest’ultimo fu un’altra candidatura sempre come miglior protagonista.
Dopo le candidature sia come interprete “marginale” che come attrice in prima linea, ci voleva solo una vittoria, che finalmente giunse meritatamente, diretta sempre da Castellitto in un film criticato ed apprezzato, un po’ incerto, ma che ha consacrato finalmente al successo la nostra attrice, che s’è distinta nel ruolo di una madre della periferia fragile e forte: “Fortunata” (2017).
Fu la volta dell’esplosione di una popolarità già esistente, perché aveva sempre dimostrato un certo talento, anche nei film tra il 2015 e il 2017: “The Gunman” di Morel, “Tommaso” di Kim Rossi Stuart, “Slam” di Molaioli.
Dopo “Euforia”, nuovamente sotto la direzione della Golino, l’attrice è stata candidata come miglior non protagonista per l’attuale capolavoro di Cremonini “Sulla mia pelle” nel 2018, e in seguito a “Il ragazzo più felice del mondo” di Gipi è approdata nel mondo del cinema LGBT con le due commedie “Croce e delizia” (al fianco di Gassmann figlio e diretta da Godano) e “La dea fortuna”, che le ha valso il secondo David, senza dimenticare il Premio Biraghi per “La stanza del figlio”, ossia uno dei 4 Nastri d’Argento conseguiti.
2 Globi d’oro e altri 5 premi sono un’ulteriore aggiunta, ma la conferma che è solo un inizio brillante per una grande interprete della realtà del nostro tempo, oltre che “archeologa” del suo presente come ha amato definirsi, abile nel sapersi muovere da un genere all’altro, con umile disinvoltura e fresca versatilità di chi rispetta la propria professione.