Intervista Fast Animals and Slow Kids – Quattro amici con la passione per la musica

La storia che raccontiamo oggi parte nel 2007, quando quattro liceali con in comune la passione per la musica, decidono di creare una propria band. D’allora sono passati dieci anni e quei ragazzi, quei quatto amici che fanno musica insieme, ci sono ancora: loro sono Aimone, Alessandro, Jacopo e Alessio, in arte i Fast Animals and Slow Kids.

Dopo l’incredibile successo del disco “Alaska” e di “Alaska Tour” che si è chiuso con sei sold out, i FASK tornano sulla scena rock italiana con un nuovo album energico e penetrante, acuto e talvolta feroce, dall’emblematico titolo “Forse non è la felicità”. Rispetto ai dischi precedenti, quest’ultimo lavoro ha una marcia in più, simbolo di un processo di maturazione in grado di condensare in 11 pezzi le influenze assorbite negli anni, nel pieno rispetto di sé stessi e del proprio sound. Tutto ciò si traduce in testi profondi e intimi, che racchiudono esperienze, appunti, ricordi, sensazioni, piccole cose, nelle quali, quasi sempre, risiede la felicità. Noi di Social Up abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistarli per chiederli quello che, tutti, i fan vorrebbero sapere. “Forse non è la felicità”, ma ci somiglia moltissimo: parola dei Fast Animals and Slow Kids!

La vostra band nasce tra i colli perugini. Come vi siete conosciuti e quando avete deciso di lanciarvi in questa fantastica avventura?

La risposta crediamo sia proprio da ritrovare nei colli perugini. Quando suoni in una città come Perugia è normale conoscere la maggior parte dei tuoi “colleghi” musicisti. Noi quattro suonavamo insieme già in altre band, band sulle quali probabilmente puntavamo un po’ di più ma delle quali eravamo allo stesso tempo sempre meno convinti. I Fast Animals and Slow Kids sono nati più come un divertimento e con l’idea di suonare sempre e solo ciò che ci convinceva davvero; probabilmente si può dire che stiamo mantenendo fede a ciò che ci eravamo ripromessi da liceali.

Come descrivereste la vostra band?

Ci ha sempre fatto sorridere descrivere i Fask come “un sottile equilibrio sopra la follia”, citando un certo cantante italiano che forse conoscete anche voi e i vostri lettori. Il fatto è che siamo veramente molto volubili su tutto, cambiamo idea molto spesso e torniamo a ragionare sulle cose anche quando molta della gente che lavora con noi le considera chiuse.

Vi conoscete da molto tempo. Ci svelereste qualche dietro le quinte: soprannomi, difetti e pregi di ognuno?

Eh qui ci sarebbe veramente da scrivere quattro pagine di risposte! Il fatto è che appunto conoscendoci da una vita, abbiamo sviluppato un senso dell’umorismo interno alla band che sarebbe veramente difficile riuscire a far apprezzare pure all’esterno. Probabilmente la persona più simpatica della band è Alessio, il batterista, detto anche Frot (il motivo del soprannome ce lo siamo dimenticati tempo fa);  se dovessimo parlare di un suo difetto andrebbe sicuramente menzionata la sua goffaggine che mal si sposa con la sua occasionale e fastidiosa saccenza. Jacopo, il bassista, chiamato a volte “Nagasomo” o “Strambo Señor”, è quello con l’etica del lavoro più alta nel gruppo, nel senso che se c’è da fare qualcosa per i Fask lui lo farà e senza batter ciglio; potrebbe esser questo il motivo per cui lo teniamo ancora nella band? Lo scopriremo strada facendo. Aimone è andato vicino all’esser abbandonato in autogrill numerose volte, probabilmente per il suo eccessivo mordente, il suo pregio ma anche la sua più grossa condanna, specialmente se abbinato al suo essere un maniaco del controllo vero e proprio. Alessandro (soprannominato suo malgrado “Orsetto”) è un gran bravo ragazzo e un ottimo chitarrista, poco altro da aggiungere. Se non si fosse capito è anche colui incaricato a rispondere alle interviste scritte.

Dopo tre dischi e un lungo ed estenuante tour, avete deciso di fermarvi e prendervi del tempo per riflettere. Come mai questa scelta?

Più che una scelta è stata probabilmente una necessità: siamo stati in tour non-stop per diversi anni tra tutto e ci sembrava sensato mettere un attimo in pausa i Fask, sia per concentrarci su altri aspetti della nostra vita, sia per capire veramente cosa volevamo fare a livello di band.

Dal periodo di pausa nasce il vostro ultimo lavoro, “Forse non è la felicità” che segna dieci anni di attività musicale libera e indipendente.  C’è qualcosa che non rifareste?

Onestamente ti direi di no: tutto ciò che abbiamo fatto in questi anni ci ha portato ad essere le persone che siamo adesso e probabilmente le scelte del passato che lì per lì si erano rivelate poco felici, hanno reso ancora più belle le cose positive che ci sono capitate in questi anni di attività.

“Forse non è la felicità”, un titolo emblematico. Perché questa scelta?

Innanzitutto per via della canzone omonima che è stata l’ultima ad essere scritta per l’album e che è diventata da subito una delle nostre preferite. Allo stesso tempo ci sembrava un titolo ben rappresentativo di ciò che vuol dire suonare nei Fast Animals and Slow Kids, passare dal locale sold out alla sala prove che si allaga, insomma era un ottimo modo per ricordare a noi stessi che ciò che importa non è il risultato finale ma tutto ciò che è venuto prima e ciò che ancora deve accadere.

Suoni duri ed incisivi accompagnano testi taglienti che rivelano una certa nostalgia del passato. Quanto di autobiografico c’è in questo concetto?

Moltissimo! Pur essendo ancora relativamente giovani siamo persone molto nostalgiche e a volte tendiamo ad idealizzare il passato, anche nei casi in cui a pensarci bene c’è poco da idealizzare. Questo non vuol dire che non apprezziamo il nostro presente: molto più semplicemente il passato a volte ci appare più roseo di quello che c’è.

È già partito il tour che vi porterà in giro per tutta Italia. Quali emozioni vi regala il palcoscenico?

È difficile da descrivere a parole, salire su di un palco è sempre un’emozione unica. Diciamo che forse per i primi pezzi assomiglia un po’ alla classica ansia da interrogazione, non ne sono sicuro ma penso sia abbastanza simile al dover parlare di fronte a molta gente. Dopo poco però il tutto si tramuta, come se le persone a cui stavi parlando iniziassero a risponderti o ad anticipare le tue parole ed è quando metti a fuoco questa cosa qui che il tutto cambia radicalmente e l’emozione che provi è molto più difficile da definire.

Avete già collezionato collaborazioni importanti, Luca Benni (To Lose La Track), Andrea Appino (Zen Circus), Andrea Marmorini (Woodworm) e Nicola Manzan: quanto sono state importanti per voi?

Sono state tutte fondamentali per la storia dei Fask. Luca Benni e Andrea Appino sono state tra le prime persone a credere in noi e gliene saremo per sempre grati. Andrea Marmorini e Marco Gallorini sono tutt’ora il nostro presente e forse più che un’etichetta li definiremmo una famiglia allargata. Nicola Manzan ha suonato in ogni nostro disco e il tour dell’anno scorso è stato un momento importantissimo per la storia della nostra collaborazione.

Cosa bolle in pentola? Quali sono i progetti per il futuro?

Per ora suonare, suonare, suonare! Andremo avanti col tour di “Forse non è la felicità” per un bel po’ di tempo in modo tale da permettere a tutti di venire a vederci in concerto. Per il futuro più lontano staremo a vedere, per ora siamo concentrati sul percorso, tanto per cambiare.

Catiuscia Polzella