Intervista a Willie Peyote: alla scoperta del rapper torinese di Iodegradabile

Tra una presentazione in libreria ed un’esibizione in programmi TV, abbiamo avuto la possibilità di fare quattro chiacchiere con Willie Peyote. Il tour inizierà nel 2020, ma si avrà la possibilità di vederlo live il prossimo 26 novembre in occasione di Medicine Rocks.

Il rapper torinese, fresco del nuovo album Iodegradabile, si sta affermando con forza nella scena musicale italiana, grazie al suo talento e all’approccio veritiero e senza peli sulla lingua. Di seguito le domande a cui ha gentilmente risposto.

A che livello di degradabilità sei arrivato? Come ti piacerebbe essere riciclato?

Sono arrivato ad un punto di degradabilità in cui non è ancora necessario riciclarmi (ride, ndr). Per adesso sto invecchiando ma non è ancora necessario riciclarmi in talent show o simili.

Le tue canzoni si ispirano molto a temi politici e sociali. Cosa pensi della gestione degli attuali problemi sociali e dei modi di fare politica?

Ho cercato di dire proprio nella canzone la frase che riassume questo concetto, ovvero che è più facile trovare un colpevole che trovare le soluzioni ai problemi e questo è l’approccio che ha la politica, ma che forse abbiamo anche noi nella nostra vita. È più facile sfogare la propria rabbia che capire le ragioni della propria rabbia.

Credo che non ci sia nessun vero tentativo di risolvere i problemi, ma solo di limitare i danni, che è comunque una roba che viene dopo, invece la politica dovrebbe fare esattamente il contrario, ovvero capire le ragioni, anticipare i problemi o cercare quantomeno di arrivare alla radice del problema. Invece noi ci limitiamo a gestire le conseguenze dei problemi.

Quest’estate hai preso parte al tour dei Subsonica, con cui hai collaborato anche in studio. Cosa ti ha trasmesso quella collaborazione? Come è stato suonare insieme a coloro che potrebbero essere i tuoi idoli? Che effetto fa essere scelto per partecipare alla realizzazione di Microchip Temporale?

Partendo dall’ultima. Beh, è uno dei dischi più importanti della musica italiana di quel periodo storico, dei fine Novanta – inizio Duemila, ed è un onore partecipare, insieme ad altri colleghi, ad un disco così importante per la musica e per me. Hai detto bene, sono dei miei idoli, lo sono stati da sempre, sono stati il fiore all’occhiello di tutta la città (Torino, ndr), un vanto per tutti noi, quindi essere chiamato con loro sul palco, essere considerato il sesto Subsonica per certi versi ed in certe circostanze è stato più che un onore, anche una responsabilità che mi sono sentito.

Willie sul palco con i Subsonica

L’esperienza mi ha lasciato tanto, oltre che sotto l’aspetto umano, che non è da trascurare poiché mi ha lasciato molto, mi ha dato la possibilità di mettermi alla prova in un ambito che non è il mio, che non lo è ancora, e di vedere palchi diversi, luoghi diversi in cui fare musica. È stato come fare un master, quindi ti dico ho potuto imparare tante cose.

Le gambe tremano un po’ all’inizio, ma poi è come vai a giocare in prima squadra arrivando dalla Primavera: se ti mettono in campo devi fare il meglio possibile per non farli pentire della scelta. Se le gambe continuano a tremarti vuol dire che sei nel posto sbagliato.

Quali sono i generi musicali a cui ti ispiri?

Beh, guarda complessivamente ti farò qualche nome dato che ho una vita lunga e sono tante le influenze. Posso dire che a livello di rap, non potrei prescindere da Notorius B.I.G. e da Fabri Fibra a livello italiano, sono stati i due che più di tutti mi hanno influenzato e cresciuto come rapper.

Per il resto della musica ovviamente c’è Giorgio Gaber da un lato e dall’altro ci sono tanti altri cantautori, ma lui come nome in particolare. I Subsonica ovviamente come hai già detto. Daniele Silvestri è stato un altro dei miei punti di riferimento.

All’estero, in passato c’era Damon Albarn, il cantante dei Blur e dei Gorillaz, e successivamente è arrivato un artista come Anderson Paak che negli ultimi anni mi ha moltissimo influenzato. Quindi potrei dirti questi, ah sicuramente anche gli Artic Monkeys e Alex Turner nel suo modo di scrivere mi ha anche lui molto influenzato.

Qual è il rapporto tra Willie ed il concetto di amore? Credi che possa essere eterno, vero, platonico?

Per citare un grande “L’amore è eterno finche dura” e “non mi è mai successo di trovarmi fuori da un amore eterno”, ma credo che il problema non sia l’amore in sé, quanto come io e noi tutti cerchiamo l’amore.

Infatti, le relazioni sono, come dire, un lavoro quotidiano, per mantenere le relazioni bisogna impegnarsi, bisogna fare anche fatica certe volte e siamo tutti meno motivati fare fatica nella vita e preferiamo cambiare, quindi io sono comunque parte di questa società, di questa generazione, che fa più in fretta ad aprire un profilo Tinder che a sbattersi e risolvere il problema della coppia.

Quindi posso dirti che non credo nell’amore eterno perché non l’ho mai visto neanche intorno a me, non l’ho mai visto nei miei genitori, nei genitori degli altri, l’amore eterno non lo conosco, ma posso dirti che mi piacerebbe certo. È uno dei momenti migliori della vita delle persone essere innamorati, trovare qualcuno che ricambia.

Posso dirti che ad ora sono ancora effettivamente innamorato di una persona con cui la relazione non è andata come volevamo, ci innamoreremo in altri momenti della nostra vita forse, però in generale non posso credere all’amore eterno perché non l’ho mai visto accadere. Si può anche credere negli alieni ed in Bigfoot, però se non lo vedi.

Nel nuovo album ci sono tracce molto brevi. Come mai questa scelta? Quale messaggio nascondono?

Il senso è la musica, nel senso che gli intro, gli skit, sono una citazione degli anni 90 dei dischi rap di una volta e gli skit servivano ad alleggerire la tensione di un disco. E quindi, essendo un disco che va a riferirsi a tutto il periodo della musica anni ?90, abbiamo fatto anche questa citazione qua.

Il messaggio intrinseco è la musica, ossia ogni tanto lasciare spazio alla musica, invece di cercare di fare una canzone che abbia la forma canzone, con ritornello, bridge, ecc, ogni tanto lasciare spazio anche alla semplice musica, dare spazio ai musicisti che lavorano con me, che sono tutti molto bravi. Era solo un modo per riportare sul piano centrale la musica, senza le mie parole per forza sopra.

Se Cairo ti chiedesse di comporre l’inno del Torino come reagiresti? Come pensi si possa arginare l’emergenza razzismo tra le tifoserie italiane?

Non lo so, non mi è mai piaciuto essere il portavoce di qualcuno ed arrogarmi il diritto di dire l’opinione di tutti. Il tifoso del Toro non è un tifoso unico, ci sono diverse “correnti”. Innanzitutto, vorrei capire se il Presidente sarebbe disposto a sganciare dei soldi, visto che ha sempre problemi sull’aprire il portafoglio, quindi se me lo chiede lui direttamente probabilmente gli chiederei del grano, ma solamente perché non vorrei mercificare l’amore per il Toro, né quello che il Toro rappresenta per me, sarebbe troppo complicato.

Io ho scritto canzoni sul Toro, ne ho parlato spesso, ma è una roba mia, e il mio rapporto col Toro non deve essere quello che hanno anche gli altri, quindi non deve essere il portavoce di nessuno e quindi devo vivermi la mia fede calcistica, il mio tifo, in un modo unico e personale.

Riguardo al razzismo, finché non punisci chi commette quel tipo di reato, perché di reato si parla, se non punisci mai chi commette il fatto non puoi pretendere che smetta. In Inghilterra ci hanno messo qualcosa come vent’anni per togliersi il problema degli hooligans, ma adesso se in uno stadio inglese urli troppo forte un insulto ad un avversario vieni preso e portato via, in certi casi arrestato.

Siamo sempre lì, se tu non reagisci al problema e l’unica cosa che fai è minimizzare e lasciamo parlare un esponente di Forza Nuova, capo ultrà dell’Hellas Verona, sul tema del razzismo non ha nessun senso starne ancora a parlare.

Nessuna attività è stata punita per offese razziste, nessuno ha pagato davvero dazio e finché non si paga non si capisce davvero la gravità del fatto.

Come è nato il nome del disco? In che occasione? 

È stata la parte più difficile del disco, avevamo chiuso sia il disco che la copertina. Non riuscivo a venirne a capo e mi è venuto in dormiveglia, una sera, così di colpo. Stavo sonnecchiando ed ho svegliato anche la mia ragazza che dormiva con me e le ho detto: “Io degradabile, questo funziona”. Non ero nemmeno in Italia in quel momento, è stata un’illuminazione.

Paride Rossi