Vincitrice di XFactor quarta edizione e del Disco d’oro col brano “In punta di piedi“, nonché tra i big di Sanremo 2011 con “Vivo Sospesa“, per il 2019 Nathalie torna sulla scena del live performing internazionale con Crossing Distances , un tour internazionale che la vedrà girare il mondo con la sua musica, per incontrare nuove forme musicali e nuove culture, un viaggio emotivo, oltre che fisico, nelle distanze e nelle differenze.
Noi di Social up abbiamo avuto l’occasione di partecipare al primo appuntamento di questo tour, alla Corte dei Miracoli a Milano – Il successivo sarà a Seul, in cui la cantante inaugurerà con un concerto l’undicesima edizione dell’Italian Film Arts Festival di Seoul in Corea il 27 Settembre, selezionata come special ambassador dall’Italia.
Una performance intima, autentica e potente quella di Nathalie alla Corte dei Miracoli. Un concerto in cui la cantante ha condiviso con naturalezza e passione la sua musica, suonando il piano, la chitarra, anche senza microfono, in un live sensibile e magnetico, in cui ha dimostrato tutto il suo talento musicale, vocale e cantautoriale, introducendo i brani con confidenze e aneddoti, mostrando la coerenza della sua musica e del suo percorso, con leggerezza, ma anche vitalità e convinzione. Nel dopo concerto abbiamo avuto modo di intervistarla.
Buonasera Nathalie. Partiamo innanzitutto dal tour internazionale “Crossing Distances” che comincia proprio qui alla “Corte dei miracoli” di Milano.
In cosa consiste questo progetto? Quali sono le tappe del tour? Cosa significa per te attraversare il confine?
E’ un progetto che unisce la mia voglia di viaggiare, insita nella mia indole da viaggiatrice con la musica, che è l’altra mia passione in un’ottica di felice contaminazione tra culture. Quello che vorrei è innanzitutto farmi travolgere da ciò che andrò a vedere, dai musicisti che incontrerò e dai luoghi in cui andrò a suonare. Viaggio inteso non come turismo, ma come immersione dentro culture che ancora non conosco, come avverrà a breve con la Corea del Sud, a Seul, e poi con il Giappone. Non posso ancora svelare tutte le tappe, perché le riveleremo man mano nelle mie pagine Facebook, Twitter ed Instagram. Ci saranno tante sorprese per il pubblico, in primo luogo anche per me, visto che si tratta di un’avventura completamente nuova; ma credo che questo tour faccia anche parte della mia filosofi di vita: quella di mettermi sempre in gioco e di sfidare me stessa con nuove situazioni, con un pubblico diverso che magari non è abituato a quello che ascolto o a quello che suono. Tra l’altro mi cimenterò con gli strumenti musicali dei luoghi che andrò a visitare e probabilmente me li porterò anche a casa (ride), per avere nuove influenze e nuove ispirazioni, nuovo materiale per canzoni future.
Fin dalla tua vittoria ad X Factor hai mostrato sempre di avere talento e “coraggio artistico” nel voler intraprendere un tuo personale percorso. Ad esempio, ad XFactor hai portato un brano scritto da te, rifiutando quello inizialmente proposto, un brano “In punta di piedi” che ti ha portato alla vittoria del talent show e che è diventato disco d’oro. Questo stessa impronta autoriale l’hai dimostrata col tuo ultimo album “Into the flow” di cui sei anche co-produttrice. Un disco in cui ti scommetti verso nuove forme.
Qual è il concept di Into the flow? Cosa rappresenta per te e quali sounds possiamo trovare al suo interno?
Ho bisogno, quando faccio musica, di scrivere i miei pezzi, di presentare la mia visione concretizzando ciò che ho in mente e nel cuore – perché credo che la visione musicale comprenda tutto, il lato emotivo, i paesaggi emotivi che ci contraddistinguono e più vado avanti più ho bisogno di strumenti che mi permettano di concretizzare ciò che ho in testa ed è quello che ho cercato di fare in Into the Flow.
Il concept dell’album è rappresentato dall’elemento acqua, è il filo conduttore dei vari brani non solo al livello tematico dei testi, ma soprattutto per un discorso di fluire. Volevo che musicalmente fluisse dal primo all’ultimo brano in maniera morbida, piacevole e naturale, in modo che verso la fine dell’album si dicesse “Ah è già finito l’album? Mi sa che adesso lo riascolto” (ride). L’idea era questa, nonché tutta una serie di simbologie legate al femminile: il discorso mi è molto caro, non solo perché sono donna, ma perché l’elemento acqua è profondamente legato alla donna, ad esempio l’immagine del liquido amniotico in cui nasciamo, il luogo da cui siamo venuti al mondo. Si tratta di una serie di implicazioni lunghe a spiegare, anche perché ogni brano ha una sua vita.
Come sonorità c’è un po’ di tutto. Ci sono tante influenze e inflessioni. C’è un po’ più di elettronica rispetto al passato, ma c’è anche tanto di suonato: bassi, batteria, archi, pianoforte, anche se meno del passato. Ho bisogno di nuove sonorità. Mi sono messa a sperimentare con i synth, con i piani elettrici, con i delay, con gli archi. Mi sono messa anche ad arrangiare buona parte dei brani del disco, proprio puntando sul lato ritmico, che è una cosa di cui sentivo l’esigenza. Un album più veloce, più di pancia. Oltre alla velocità c’è anche il fatto di sentire un cuore pulsante. Prima era tutto un po’ più nell’aria, c’erano i brani più sostenuti al livello ritmico, ma non con la stessa presenza ed intensità di Into the Flow.
Fragilità e forza. Sensibilità che può essere gioiosa, malinconica, ma che è anche in grado di scuotere, percuotere. Queste apparenti contraddizioni sono delle costanti nei tuoi lavori, così come lo sono gli Elementi naturali. L’acqua (elemento di “Into the flow“), la sabbia-terra e il vento protagonisti del precedente album “Anima di vento”.
Cos’è per te la musica? Cosa ti spinge a creare le melodie, le canzoni e i testi? Che ruolo hanno gli elementi naturali?
Hai colto benissimo una serie di punti saldi di quello che faccio. Innanzitutto sul perché faccio musica: si tratta di un’esigenza, totale, sentita e naturale, quasi una vocazione, se così si può dire. E’ una cosa di cui ho avuto bisogno fin dall’infanzia. A un certo punto è diventata la mia forma di espressione principale. In realtà a me ne piacciono molte altre, perché sono appassionata di cinema e di teatro, di disegno e molte altre cose, però quella della musica è la vocazione più naturale, quella in cui mi sento più a mio agio. Mediante la musica mi sono sempre sentita in grado di esprimere l’inesprimibile, per me è la dimensione giusta per esprimere questi concetti e queste emozioni. Poi essendo una timida (ride), mi ha sempre aiutato a far venir fuori molti aspetti di me, più nascosti e a trasformarmi. Quindi faccio musica principalmente per trasformare ciò che vivo, ciò che sento in qualcosa di possibilmente più bello, in qualcosa di piacevole e per dare una forma ai miei sogni, alle mie visioni. Sono una persona molto visiva, spesso le idee si muovono all’interno della mia immaginazione, quando scrivo, quando compongo musica.
Che valore assume l’immagine dello specchio nei tuoi brani?
Sì è vero l’immagine dello specchio è ricorrente nella mia musica. Non c’è un perché razionale, ovviamente. Io amo le metafore, le immagini. Nel brano “Nello specchio“, nata inizialmente in inglese come My reflection, parlo del riflesso di se stessi nello specchio, quindi in realtà dell’immagine che si ha di se stessi, che può cambiare nel corso della vita, degli anni, delle situazioni. Ritrovo felicemente questo tema in un brano a cui tengo particolarmente in quest’ultimo album – sono molti quelli a cui tengo in Into the flow, che è l’album che preferisco tra i miei lavori – si tratta di “Siamo specchi” si rifà al discorso legato agli specchi esseni. E’ un discorso complesso. Molto in breve possiamo dire che gli altri sono per noi come degli specchi in cui vediamo noi stessi: gli altri ci riflettono. Spesso rappresentano un feedback importante per la crescita personale, un insegnamento per capire, per comprendere e conoscere noi stessi e possibilmente migliorarci. Nel brano “Siamo specchi” l’altro è uno specchio, all’interno della relazione amorosa. Si riflette sul fatto che la relazione amorosa possa essere un banco di prova a volte durissimo, a volte meraviglioso e felice, ma che sempre mette sempre alla prova e spinge a rifrangersi l’uno con l’altro.
In passato hai suonato anche in una gotik rock band e la componente melodica e malinconica torna spesso nella tua musica (penso al bel brano “L’orizzonte” in Anima di Vento. O del notevole The Ocean Tide di Into the flow per dirne alcuni). Pensi che questa formazione rock abbia influito sulla tua musica? Più in generale quale pensi sia il tuo bagaglio musicale di riferimento?
Il fatto che io abbia cantato in gruppi un po’ gotik metal, paradossalmente non è il punto di partenza, ma è una cosa che ho fatto accanto al cantare la mia musica, più per divertimento, perché è un genere che mi piace, ovviamente. Un genere che ho ascoltato e di cui ho apprezzato il lato dark, più che altro nel suo lato malinconico e introspettivo. Mi ha divertito molto fare questo genere musicale, a “rockkeggiare” con il mio gruppo, facendo lavoro di squadra (ride), sì era decisamente divertente.
Bagaglio musicale: un po’ di metal, sì ci sta, anche se non è proprio la cosa principale della mia formazione musicale. Però l’ho ascoltato, molto new metal in realtà, tra cui i Korne, soprattutto, e anche i Lacuna Coil. Poi io vado sul cantautorato al femminile da Joni Mithcell a Kate Bush, Janis Joplin. Poi tanti gruppi come i Pearl Jam, Radiohead, Pink Floyd – ho chiamato i miei gatti Pink Floyd, quindi, a parte il fatto che è un nome simpatico, ci sarà un motivo (ride). Tra l’altro i Pink Floyd li ho riscoperti recentemente. Li ho riascoltati negli ultimi anni per la ricerca del suono, per riscoprire degli autori che del suono ha fatto il loro manifesto.
Cosa puoi dirci di XFactor? Cosa ha significato per te? Pensi di essere cambiata da allora?
XFactor, bhe sono passati tanti anni, nove anni (non è poco). Sono arrivata lì con una mia esperienza: ero una cantautrice che suonava nei locali già da anni, quindi sono andata con una certa consapevolezza di chi ero e di che cosa dovessi fare. Sono andata molto concentrata sul fatto che volessi portare lì la mia musica e arrivare al pubblico. Quindi, posso dire che da allora sono rimasta abbastanza fedele a quello che sono adesso come persona, però indubbiamente è un’esperienza forte, anche per tutto ciò che è l’esposizione mediatica. Per come sono io, è stata a momenti anche un mini shock, come per tutti quelli che vi sono passati. A proposito di specchi, ti fa riflettere sulla tua immagine, su chi sei, ma anche su chi che puoi credere di essere. L’importante è rimanere sempre con i piedi per terra. Più che altro per continuare a fare la propria musica. Scelta che ho fatto, come ritenevo che fosse giusto, sano e onesto fare per me stessa. XFactor mi ha cambiato un po’ la visione di come arrivare agli altri. Il fatto di fare continuare un mercato. Ti mette alla prova questa cosa. Ti fa venire dei dubbi. Ti mette in discussione, nel bene e nel male. L’importante è mantenere una centratura. X-factor dura tre mesi, è un full immersion, impegnativo e bisogna essere carichi per non arrivare stanchi alla fine. Si imparano tante cose, soprattutto del palco televisivo e del pubblico televisivo, su come funziona un programma tv. E’ stata una palestra importante, perché io conoscevo i palchi dei locali. Non avevo fatto molta esperienza televisiva. Sono grata per la visibilità che mi ha dato e per avermi fatto incontrare tanti artisti, tra cui Elio.
E Sanremo?
Sanremo è molta intensa e dura meno rispetto ad X-factor. Quindi si vive più come una festa e anche bello e impegnativo. Mi ha permesso di portare me stessa come cantautrice su un palco importante ed emozionantissimo. E’ stato divertente e tostissimo. E’ un palco che mette molto alla prova.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Il tour di Crossing Distances innanzitutto, la prossima tappa dopo la Corte dei Miracoli sarà a Seul in Corea, poi ce ne sono molti altri in cantiere, tra cui le tracce del prossimo album, alcune delle quali già in lavorazione.
Grazie di essere stata con noi e buon viaggio per la prossima tappa di Crossing Distances.