Scoperto dal grande pubblico attraverso Il Terzo Segreto di Satira per essere uno tra i protagonisti dei video satirici per il web e per la Tv, Massimiliano Loizzi è un attore che una volta conosciuto, è difficile dimenticare.
Classe 1977, di origini pugliesi, il suo curriculum vanta una lunga gavetta in teatro e maestri importanti come Vito Signorile e Franco Damascelli e la collaborazione con Paolo Rossi nella tournée dello spettacolo “Il Signor Rossi e la Costituzione”.
Diventa famoso grazie ai video satirici de “Il Terzo Segreto di Satira”, che dal web arrivano in tv, in un talk show in prima serata. Accade che i video, già fenomeno virale, siano apprezzati anche dai non internauti e spopolano. Il successo arrivato, però, è stato un incentivo per Loizzi per continuare a fare l’attore con passione e determinazione. Infatti, ha continuato a recitare in teatro con la sua compagnia dei “Mercanti di storie” (fondata nel 2004 con la sua attuale compagna) e ad avere ruoli in svariati film e cortometraggi.
Noi di Social Up l’abbiamo intervistato e ci siamo fatti raccontare un po’ di tutto: il successo arrivato con “Il Terzo segreto di Satira”, la collaborazione con Paolo Rossi, il “legame” con Giorgio Gaber e i film in cui lo vedremo prossimamente.
Sei arrivato al grande pubblico quando i corti de “Il Terzo Segreto di Satira” sono approdati in TV. Cosa si prova nel passare dal web alla TV? Il modo di realizzare i corti cambia oppure resta pressoché identico?
Beh direi che innanzitutto è cambiato il mio conto in banca o quantomeno è cambiato il rapporto con l’addetto della mia filiale che puntualmente mi chiamava per avvisarmi che ero in rosso, così quando non l’ho sentito più, ci son rimasto male e l’ho chiamato redarguendolo perché almeno una chiamata di tanto in tanto per congratularsi che non ero in rosso avrebbe potuta farmela. Non ha apprezzato la mia ironia e ha chiuso il telefono, con un laconico “Stiamo lavorando signor Loizzi”. Per quel che riguarda i corti, direi che la sostanza resta la stessa, ovvero il gruppo di lavoro molto affiatato di colleghi e amici con il quale son più che felice di collaborare oramai da anni (i cinque autori e registi de Il Terzo Segreto di Satira, nonché alcuni degli attori storici del collettivo). Altresì cambiano i mezzi, si è allargata la troupe, ci sono le maestranze e i vari reparti che nei primi corti girati per il web erano figure ricoperte da quegli stessi cinque geniacci, e poi ognuno di noi attori era il proprio costumista e truccatore. Non è cambiata la serenità e il divertimento sul set, neppure durante le riprese del film: ecco, credo sia questa la forza principale del progetto. Ed è con questa stessa serenità che abbiamo affrontato il passaggio dal web alla tv, o almeno credo. In ambito teatrale, grazie agli spettacoli della mia compagnia, ero già abbastanza conosciuto ma è sempre un grandissimo piacere quando si viene fermati per strada e ricevere i complimenti per il proprio lavoro, è qualcosa che rende l’idea del mio mestiere, della sua utilità.
Come hai conosciuto Paolo Rossi e come è nata la vostra collaborazione artistica?
Nel 2000/2001 frequentavo a Milano la Civica Scuola di teatro, la Paolo Grassi, e Paolo ha tenuto un corso verso il volgere alla conclusione dell’anno accademico e per me fu una folgorazione (in senso metaforico perché non ho mai messo le dita nei buchi della corrente, sin da piccolo), perché da sempre è stato uno dei miei punti di riferimento, un idolo (per quanto poi da adulto abbia smesso di credere negli idoli, che son sempre mendaci ed ho cominciato a credere profondamente nelle persone che, seppur alle volte fallimentari, son sempre reali e vicine) insieme a Gaber, Jannacci, Tom Waits, Louie C.K.
Mi propose di seguirlo in tournée appena ne avessi avuto modo e così l’anno dopo quando fui espulso dalla Civica – per motivi che se raccontassi sarebbe meglio edulcorare, per cui non li racconto proprio e si fa prima (dico solo che son stato un ragazzo molto irrequieto) – mantenne la promessa e mi portò con sé.
Essendo molto giovane in quegli anni (avevo appena 23 anni quando ho cominciato la tournee de “Il Signori Rossi e la Costituzione”, solo in scena con lui), non avevo piena coscienza della grande fortuna che mi era capitata: fui buttato sui più grandi e migliori palchi del paese con, forse, quattro giorni di prove, in uno spettacolo che fu visto da più di trecentomila persone e quella è stata la mia più grande scuola. Paolo mi diceva pochissime cose, lasciava che comprendessi da solo i miei errori o le cose buone fatte. Se sono quel che sono oggi, soprattutto in teatro, è anche merito suo.
La compagnia dei “Mercanti di Storie” è un’altra pezzo importante per la tua vita da attore. Che differenza c’è tra recitare in teatro rispetto al grande schermo? E quale dei due “palcoscenici” preferisce Massimiliano Loizzi?
Si, è un pezzo importantissimo e fondamentale della mia vita tutta.
È la compagnia che abbiamo fondato nel 2003 io e Patrizia Gandini, la nostra organizzatrice e tour manager, che poi è anche mia compagna nella vita (perché come diceva Tom Waits, se incontri la bionda giusta, non lasciartela scappare… va detto per onestà intellettuale che lei fa i colpi di sole però la sostanza non cambia); e son quindici anni oramai che giriamo ininterrottamente con i nostri spettacoli, monologhi musicali e di teatro canzone sempre in bilico fra satira, musica e poesia.
Il nostro tour si chiama SagreSposaliziTour proprio perché cerchiamo, nel solco degli insegnamenti di un grande maestro quale fu Strehler, di portare il teatro alla gente e non viceversa, di portarlo ovunque, nei locali, nei circoli, nei bar, nelle piazze, nelle sagre e negli sposalizi.
Il Teatro popolare, come amo definirlo, è il mezzo a me più congeniale per raccontare storie, per parlare dell’attuale, di ciò che ci circonda nel bene e nel male, ed occupa la maggior parte della mia vita, quindi sarebbe facile rispondere che è il palcoscenico che “preferisco”, però son due mondi talmente distanti fra loro (sia nei modi che nei numeri) che è davvero difficile dover scegliere: amo la montagna ma come si potrebbe vivere senza il mare?
Massimiliano, volendo citare De Gregori, come è la tua valigia d’attore?
Ho un trolley blu navy e un borsone in pelle per i viaggi brevi.
“Si muore tutti democristiani”, il primo film de Il Terzo segreto di Satira, sarà presentato al Festival del cinema di Roma. Quando avete iniziato, vi sareste mai immaginati di arrivare ad una produzione cinematografica? Puoi rivelarci chi sarai nel film?
Assolutamente no, nessuno di noi lo avrebbe mai immaginato ma di certo lo abbiamo sognato, credo fosse un po’ l’ambizione di tutti e tutte, sarebbe stupido nasconderlo.
Dal canto mio posso dirti che, per carattere e per la vita che ho vissuto (appena compiuta la maggiore età e finita la scuola sono andato via di casa ed ho viaggiato per tre anni prima di tornare in Italia), vivo le cose giorno dopo giorno, cerco il più possibile di godermi quel che ho, cercare di raggiungere quel che vorrei ma non dannarmi per quel che non ho o non posso avere.
Dopo questa frase rubata dagli scarti dei Baci Perugina, posso rivelarvi che nel film sarò uno dei tre personaggi motori della storia: Fabrizio.
Sono tre amici e colleghi di una vita, provenienti, pur con sfaccettature diverse, dal vasto mondo di quella che è, o è stata, la sinistra italiana. Si barcamenano tra video per sindacati, matrimoni, piccoli video per il sociale, mantenendo una “purezza etica” a cui loro tengono molto e agognando di poter tornare a realizzare documentari. Improvvisamente arriva la proposta lavorativa che potrebbe cambiare le loro vite: un grosso documentario per una Onlus che si occupa di immigrazione. Una proposta troppo bella per essere vera, e infatti, dopo pochi giorni scoppia un grosso scandalo che coinvolge il capo della Onlus: riciclaggio di denaro e truffa ai danni degli immigrati. I tre entrano in crisi e da lì vi direi di andare al cinema, anche perché più gente va e più possibilità ci sono che se ne faccia un altro e che io diventi il nuovo protagonista di “Fast and Furious 13”
Sarai nel film “Gli sdraiati” di Francesca Archibugi, basato sull’omonimo libro di Michele Serra, in uscita nel 2018. Come è stato lavorare su questo set e con la Archibugi come regista?
È stata un’esperienza bellissima. Lei è una signora regista: serena, pacata, autorevolissima senza essere autoritaria, non ha mai alzato la voce e sul set salutava sempre tutti, cortese e disponibile. Ha anche un metodo di lavoro molto personale che ho ammirato molto: preparava le scene di volta in volta dando anche ampio margine agli attori, alle improvvisazioni e ai dialoghi, pur conservando sempre chiaro il disegno di quel che si stava facendo. Poi il protagonista era Claudio Bisio, persona meravigliosa e grandissimo professionista, con cui mi son divertito molto.
Sei andato in scena con lo spettacolo “Io ed Io – Gaber secondo i Mercanti di Storie”. Come è nato questo progetto? E soprattutto perché scegliere Gaber?
Tutto è cominciato una sera di molti anni fa, alle idi di gennaio nei primissimi anni del 2000. Ero appena rientrato in camerino dopo gli applausi finali del debutto ufficiale a Modena de “Il Signor Rossi e la costituzione”. Ero abbastanza felice e alticcio (inutile nascondere che di Jeb dietro le quinte ce n’era quanto bastava) e nella mia solitudine, pensavo a quella splendida ragazza che qualche giorno prima era andata via ma anche a quella meravigliosa cameriera dagli enormi occhi neri luccicanti che avevo conosciuto la sera prima e che mi aspettava lì fuori.
Gaber era scomparso da pochi giorni, ero con Paolo quando aveva ricevuto la brutta notizia, e proprio in quei giorni mi accompagnava ovunque il suo ultimo disco, che conteneva una canzone bellissima – “Non insegnate ai bambini” -, che ascoltavo di continuo anche se non avevo ancora bambini né pensavo di averne ma mi piaceva moltissimo praticare il modo in cui si fanno, e che ascoltavo anche quella sera, chiuso in camerino, con le lacrime agli occhi perché ero felice e la cosa di quei tempi mi capitava assai di rado e c’era una bellissima ragazza proprio fuori quella porta con cui avrei fatto all’amore di lì a poco, proprio in quel camerino.
C’era tutto in quella stanzetta con divano e lampadine allo specchio: whisky, un pubblico che andava via ebbro di risate, un po’ d’amore, una ragazza molto bella, il mio maestro nel camerino a fianco e questa canzone. Fu in quel momento di rara gioia che giurai a me stesso che un giorno l’avrei cantata, l’avrei fatta mia, gli avrei dedicato uno spettacolo. Poi è arrivata una bionda che mi ha salvato la vita, un bimbo e una bimba e quella rara gioia si è fatta vita.
Ho mantenuto quella promessa. Perché mi piace mantenere le promesse. Tutto qui. E soprattutto ho scelto Gaber perché dopo aver rubato a piene mani per anni dal suo repertorio, mi sembrava giusto rendergli tutto quello che la mia generazione gli aveva rubato, ispirandosi a lui. Infatti lo spettacolo è anche uno scontro fra generazioni: fra la mia e quella dei miei padri. Per questo i testi dei monologhi sono miei e le canzoni del Signor G. Dopotutto il teatro-canzone funziona proprio così: monologo e canzone, monologo e canzone, monologo e canzone da qui il nome teatro-canzone che poteva anche essere monologo-canzone, ma effettivamente suonava male.
Teatro, cinema, tv: cos’altro ti aspetti dalla vita?
Un lucano.
(E poi una casa in campagna, magari vicino al mare, un orto, veder crescere sani e di riso Libero e Olivia, portarli con noi in tournee, andare in Louisiana, Mississippi, nelle praterie del Canada, in Tibet, Madagascar, un salto a Fantasilandia, scoprire dov’è la base dell’arcobaleno e cagarci sopra, scrivere e dirigere il mio primo film ma anche l’ultimo andrebbe bene, guardarla al risveglio del mattino mentre le si imbiancano i capelli, diventare nonno, morire non prima del 2077 perché mi piacciono le cifre tonde, mangiare pizza almeno tre volte a settimana).