Intervista a Ilaria Macchia: al Catania Book Festival tra cinema e letteratura

Per parlare al Catania Book Festival di cinema e letteratura è stata invitata Ilaria Macchia.

Una vita all’insegna della scrittura tra il lavoro di sceneggiatrice per film e cortometraggi e quello di scrittrice (ha pubblicato nel 2017 il suo primo libro dal titolo “Ho visto un uomo a pezzi”).

Ad oggi la si riconosce come compagna del frontman dei Negramaro, ma Ilaria Macchia, laureata vanta esperienze lavorative significative come la sceneggiatura del film “Non è un paese per giovani”, “L’attesa” e “L’estate che non viene”. Di recente è sceneggiatrice di “Petra”, la serie tv per Sky Cinema con protagonista Paola Cortellesi.

Benvenuta al Catania Book Festival, Ilaria! Quali sono le sensazioni legate alla partecipazione al primo festival del libro catanese?

Beh, bello! Oggi ho fatto un bellissima giornata in spiaggia quindi mi sembra che sia cominciata bene questa esperienza e non vedo l’ora di parlare al pubblico.

L’incontro in cui sarai protagonista si intitola “Cinema e Letteratura: uguali ma diversi”. Perché sono diversi?

Sono due mezzi espressivi diversi perché ricorrono a degli strumenti di narrazione con grammatiche diverse. Allo stesso tempo, però, si occupano della stessa materia ossia del racconto delle storie. Questa è una matrice importante che condividono. Il punto di partenza è lo stesso però il risultato è diverso.

Sono diversi ma si incontrano spesso perché molti progetti editoriali spesso diventano film. Sei sceneggiatrice: com’è approcciare ad un adattamento cinematografico da un libro rispetto alla creazione di una sceneggiatura da zero?

L’approccio è molto diverso. Nel caso in cui ci si trovi dinanzi ad una storia originale bisogna prendere a piene mani dalla propria esperienza anche se si sta raccontando una storia che non si è vissuta direttamente, comunque bisogna attingere alle proprie emozioni che possono essere compatibili.

Quando si parte da un libro, si ha un canovaccio, un punto di partenza che però si deve avere il coraggio di stravolgere. Quello che posso aver imparato nel corso della mia esperienza è un po’ questo: i libri vanno rispettati ma essendo mezzi di espressione diversa quella storia deve essere raccontata in modo diverso.

Da dove si comincia per scrivere una sceneggiatura?

Si parte da un’idea di cui il regista ha voglia di parlare. Da quel momento insieme al regista e agli altri sceneggiatori si inventa. Spesso partendo da nulla come un sentimento o un personaggio, si inventa. Proprio per questo bisogna attingere da quello che hai imparato delle cose del mondo e le devi usare dentro la storia che stai raccontando.

Qual è lo stato di salute della creatività degli sceneggiatori italiani?

A me sembra che gli sceneggiatori ci sono e hanno una voce. Bisognerebbe dargli retta un po’ di più.

La quarantena ha inciso sul tuo modo di fare la sceneggiatrice?

Credo che ancora non me ne rendo conto bene. In quanrantena ho lavorato tantissimo, forse anche più di come facevo prima perché c’era una fame di storie da portare avanti. In quel momento si poteva solo aprire il computer e scrivere. Ha cambiato il mio modo di essere spettatrice, però. Avevo voglia di vedere cose che di solito non vedo. Non sono un amante dei film in costume, invece in quarantena mi piacevano tantissimo perché mi portavano in un altro mondo ed ero più capace di immedesimarmi in quel mondo.

La scrittura è al centro della tua carriera professionale. Non solo sceneggiatrice, ma anche scrittrice. Il tuo primo libro si intitola “Ho visto un uomo a pezzi”. Di recente Francesco Muzzopappa ha pubblicato “Un uomo a pezzi”. Secondo te perché ricorre questa figura?

È difficile rispondere a questa domanda. Tra i due però c’è una differenza. Il libro di Muzzopappa sono dei racconti con protagonista un uomo e con una scrittura più divertente, mentre il mio ha come protagonista una donna che parla di un uomo che vede e non lo riconosce.

Cosa stai leggendo in questo momento?

Ho appena finito di leggere “Un ragazzo” di Elena Varvello. Un libro bellissimo. Adesso sto leggendo “La figlia unica” di Guadalupe Nettel.

Su cosa stai lavorando? Puoi anticiparci qualcosa?

Non posso dire niente. Non farmelo dire.

Sandy Sciuto