Intervista a Filippo La Porta: “La relazione con l’altro è la questione attuale”

È iniziata la dodicesima stagione di “A tutto volume”, il festival del libro di Ragusa che quest’anno ha un calendario ricco di ospiti e di tematiche. E non manca l’omaggio a Dante.

A proposito del Sommo Poeta, il pomeriggio del secondo giorno dell’evento, Filippo La Porta dialoga su “Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro”, il libro che ruota attorno all’idea di Dante sulla relazione tra sacralità e inviolabilità dell’altro.

Filippo La Porta, saggista, giornalista e critico letterario, scrive su «La Repubblica» e collabora a varie testate. Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo almeno Pasolini. Profili di storia letterari (Il Mulino 2012), Il bene e gli altri. Dante e un’etica per il nuovo millennio (Bompiani 2018), Eretico controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà (Giunti Editore-Bompiani 2019). Ha vinto il Premio nazionale Latina per il tascabile “La Bancarella” nella stagione ’97-’98.

“Sono molto contento di parlare del libro a Ragusa, perchè per un importante teologo del ‘900, Romano Guardini, il Paradiso di Dante, che è poi al centro di questo mio libro, è un tipico paradiso di uomo del Sud” – inizia così la nostra intervista ad una delle menti più brillanti del panorama italiano – “Guardini è italiano, ma poi germanizzato. Lui parlava della Germania, ma vedeva Dante come uomo del Sud perchè, persino nel Paradiso, le anime dei beati non fanno altro che produrre assembramenti, provano a chiacchierare con Dante, vogliono spettegolare con lui, lo interrogano. È un Paradiso non di un uomo protestante con il distanziamento sociale, ma un tipico paradiso del nostro sud dove tutti non vedono l’ora di incontrarsi e parlarsi tra di loro”.

Qui “A tutto volume” per presentare “Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro”. Come un raggio nell’acqua è un’immagine che diventa un modello per la relazione con gli altri, ma cosa si intende?

Il raggio che entra nell’acqua senza scompaginarla: questa è la grande immagine simbolica di Dante che probabilmente proveniva dal Medioevo e stava a indicare l’Immacolata Concezione.

Questa immagine la prendo come modello per la relazione con gli altri. Questa relazione deve essere vissuta nella sua interezza e pienezza, ma senza mai scompaginare l’altro.

Vuol dire che mi relaziono a qualcuno, anche in modo profondo, ma non dovrei mai violare l’unità psichica dell’altro. Per me questo è importante perchè oggi la relazione con l’altro è la questione del nostro presente. Spesso la relazione con gli altri è virtuale, del tutto smaterializzata. Anche per la politica vale questa immagine. Dante la usa nel Secondo Canto del Paradiso perchè dice che lui e Beatrice entrano nella Luna – quindi un miracolo perchè due persone che entrano in un corpo solido – quasi morbidamente come il raggio di luce entra dentro l’acqua.

Le relazioni con l’altro sono da sempre difficili, soprattutto alla luce della poliedricità dell’animo umano. Quali sono secondo Dante gli accorgimenti per avvicinarsi a chi è estraneo da me e creare una connessione?

Non è che proprio Dante dia degli accorgimenti: dobbiamo fare attenzione a non chiedere a Dante quello che non ci può dare.

È vero che il Sommo poeta ha un modo di porsi e di relazionarsi agli altri. Dante considera la maggiore virtù: il pudore, l’indiscrezione. Infatti il peccato da che cosa nasce? Dal contrario. È evidente da tutta la Divina Commedia che il peccato è invadere lo spazio di qualcuno, è arroganza. Dante nei rapporti con gli altri ha sempre questo tatto, lui vuole sempre mettersi sullo stesso piano dell’altro. Anche quando vede nel Purgatorio le anime degli invidiosi, che per contrappasso sono ciechi, Dante capisce che loro non possono vederlo, allora abbassa gli occhi e decide di non vedere loro perchè se li vedesse, li oltraggerebbe.

La grande consapevolezza di Dante è rispettare l’altro in quel che è: la c.d. etica del rispetto. Questa regola vale anche se l’altro disprezza l’umanità, perpetrando razzismo, omofobia e mali simili?

Questa è una bella domanda, nel senso che è la domanda delle domande.

La mia risposta si articola in due momenti. Primo: se uno è prepotente, è il primo a violare la regola, ossia lui per primo non permette agli altri di essere quello che sono. Il prepotente introduce un elemento di squilibrio. Dante definisce il peccato come il trapassare del segno. Se il prepotente trapassa il segno, si deve correggere e riportare la situazione ad uno stato iniziale. Secondo. Si può obiettare dicendo: come fa Dante a rispettare l’altro per quello che è, dato che fa politica e la politica è rigenerare le cose, ma l’obiettivo unico della politica è la pace universale, la pace stabile. È una pace entro cui ognuno può essere quello che è. Chi fa politica deve sapere che l’obiettivo finale è la pace stabile perchè saperlo, secondo me, impone una misura al suo stesso agire politico.

Secondo lei, cosa penserebbe Dante delle relazioni con l’altro del 2021?

 Dante dobbiamo attualizzarlo, ma non troppo. Rimane sempre un uomo del medioevo che crede nella vendetta, nelle guerre giuste, nella guerra contro gli eretici, nel monarca assoluto. Non possiamo convertirlo alla democrazia e ai diritti umani. È meglio evitare una attualizzazione troppo brusca. In Dante c’è una verità etica che trascende il suo tempo storico e ci parla. La verità etica è quella che emerge in alcune zone del Paradiso. La figura che Dante elogia più di tutte è quella di San Francesco che si è fatto piccolo. Dice Dante: “Si è fatto pusillo”. L’indicazione è: se nella relazione con l’altro mi rimpicciolisco, come ha fatto San Francesco, permetto all’altro di esistere. Se non mi rimpicciolisco, l’altro non ha la possibilità di esistere.

Che tipo di relazione dovremmo avere noi con Dante?

Dico sempre che bisogna far parlare i classici perchè altrimenti restano lì, muti, inerti. Il pericolo, però, è farli parlare con la nostra voce. Dante è immerso nel suo tempo, intriso dell’idea che la vita è benedetta. È un concetto che noi non possiamo avere perchè la modernità è lacerazione, è caos. Attenzione quindi a ridurre la distanza con l’altro, ma farlo parlare vuol dire esporci ad un ascolto di quello che ha voluto dire. Un grande critico ha detto: “Dante non sta dietro di noi, ma sta davanti a noi e noi dobbiamo raggiungerlo, magari affrettandoci”. Noi dobbiamo raggiungere quella verità etica, in un certo senso quasi fuori dal tempo, contenuta nella sua opera.

Quali sono le ragioni di vita che possiamo trarre leggendo la Commedia di Dante?

Ad ogni verso, Dante ci chiede di trasformarci. Non si tratta di una conversione religiosa, ma ci chiede una conversione del cuore e della mente. Come dice in un suo verso, ci chiede da vermi di diventare angeliche farfalle, sapendo che sarà sempre qualcosa di contraddittorio. Noi siamo divini, ma lo siamo in modo discontinuo. Dante si appella alla nostra parte divina ed è come se dicesse al lettore di provare a sviluppare questa parte divina.

Quali interrogativi ci sono ancora da risolvere sul rapporto con gli altri?

Non è che ci sono altri interrogativi. Alla fine, inferno, purgatorio e paradiso non sono dei regni situati chissà dove. Ognuno di noi, ogni giorno, li attraversiamo tutti e tre. Ogni giorno. Ciò riguarda la condizione umana e dobbiamo esserne consapevoli. In quanto esseri umani, siamo imperfetti e contraddittori, ma l’importante è aspirare alla purezza. Oggi la modernità insiste sull’ambiguità della vita morale: tutto vero. L’ambiguità non può essere il punto di arrivo, ma la redenzione lo è.

Quanto e in che modo la pandemia ha inciso e cambierà le relazioni? 

Non so rispondere a questa domanda. C’è chi sostiene che potremmo usare questa pandemia per maturare. Io non ho elementi per poter dire qualcosa. Il passato ci dice che anche le tragedie collettive non hanno migliorato l’umanità e non l’hanno resa più matura. Purtroppo, non è stato così. Non mi faccio illusioni sulla stragrande maggioranza che tornerà alla normalità di prima fatta di consumi e di quanto conosciamo già, ma forse alcune minoranze hanno saputo maturare un buon uso della pandemia. Io spero che la gente abbia pensato di più. Come c’è una ginnastica del corpo, esiste anche una ginnastica della mente. Pensare vuol dire sviluppare l’attenzione anche a quello che facciamo, vivere di più il presente. Questi sono gli esercizi spirituali che raccomandavano non solo i cristiani, ma anche gli storici e gli epicurei nell’antica Grecia. Io spero che per alcune minoranze, la pandemia sia stata l’equivalente di un esercizio spirituale.

Sandy Sciuto