Intervista a Domenico Imperato: “Vi presento Bellavista, il mio nuovo album”

Il 2 febbraio 2018 è uscito per Lapilla Records/Ponderosa Records “Bellavista”, il nuovo album di Domenico Imperato, cantautore abruzzese al suo secondo progetto discografico.

Dopo il successo di “Postura libera”, il suo primo lavoro da cantautore, Domenico Imperato torna con un album intriso di storie, anche sofferte e particolari, della gente comune con una base musicale decisamente folk. “Del mondo il canto” è il primo singolo estratto dal disco, ma tra i brani dell’album spiccano: “Zitta”, “Il nano”, “Al matrimonio di due nostri amici”, “La primavera in autunno” e “Dall’altro lato del mare”. Imperato è bravo nel mettere in musica e testo storie di vita vissuta lasciando all’ascoltatore la possibilità di immaginare i protagonisti e regalando speranza.

Lo abbiamo contattato telefonicamente prima dell’uscita dell’album e con una gioia incontenibile per il nuovo disco, ci ha presentato “Bellavista e non solo..

Domenico come ti descriveresti in tre aggettivi?

Pensando alla mia musica direi curioso, eclettico e avventuriero. Credo che la curiosità sia fondamentale in musica ed è la cosa che muove tutto. È importante anche essere eclettico perché, a mio avviso, nell’arte bisogna essere aperti a tutto e quindi, appunto, eclettici, riuscire a passare da un genere all’altro, avere apertura mentale. Curiosità ed eclettismo vanno di pari passo; avventuriero perché bisogna avventurarsi in sentieri nuovi e in cose nuove.

Cantautore si nasce o si diventa e quando hai capito che lo saresti diventato?

Secondo me ci si nasce perché ognuno di noi ha dei doni, il c.d. talento che ad oggi viene un po’ sventolato e svenduto in televisione (l’XFactor). Quindi si nasce col talento, ma ci si deve lavorare tantissimo perché la musica è una cosa importante. La figura del cantautore non ha a che fare solo con la musica ma anche con la poesia. Si nasce cantautore ma ci si deve diventare. È necessario studiare e lavorare. Il dono c’è ma poi ci si deve lavorare come hanno fatto i grandi cantautori: dare alla gente sempre qualcosa di nuovo, canzoni innovative rispetto alle precedenti. Io sono al secondo disco ma, a questo punto, sì mi posso definire un cantautore. Ho capito di essere un cantautore quando ho iniziato a vedere che gli altri ascoltavano le mie canzoni e poi perché non faccio altro che scrivere. Dico di essere nato con la predisposizione perché quando avevo dodici anni ho scritto due canzoni, sapendo suonare solo 4 accordi, è curioso. Solo che ho avuto uno stop dopo aver scritto due canzoni non ho scritto più ma continuato a suonare. Poi a 18 anni ho ripreso a scrivere, non in maniera costante, fino ad oggi che scrivere canzoni sta diventando un vizio quasi, soprattutto ultimamente.

Parliamo di “Bellavista”, il tuo nuovo e secondo album. Perché questo titolo?

Quando ho pensato al titolo del disco c’era questa parola che, a mio avviso, era una parola evocativa ed era piena di contenuti. In Italia ha dei contenuti un po’ particolari: rimanda a un campo semantico, un po’ folk, dei ristoranti e degli alberghetti. Io volevo riferirmi anche a questo mondo folk però spero che la parola si allarghi un po’ perchè quando usi delle parole in un disco, queste possono pure diventare altro cioè si arricchiscono dei contenuti che porta quel disco. Spero che Bellavista si arricchisca dei contenuti che ci sono dentro al disco. Bellavista è una parola forte, evocativa, speranzosa. Non a caso Bellavista è una delle canzoni più di slancio. Il disco ha delle canzoni con delle storie un po’ tristi, è un disco un po’ sofferto, ma nella parte musicale c’è un forte slancio, un disco anche molto ritmato, danzante, molto grumoso pure con le chitarre elettriche. Ci sono poche ballad. C’è questo contrasto che mi piace. Alcune di queste canzoni non hanno un lieto fine come “Stefano” o la storia di “Nino”. Invece Bellavista dice che non è così, è una canzone di rivalsa e mi andava chiudere il disco così. Ci sono altri motivi affettivi quali: Bellavista è un ristorantino nell’abruzzese che per me è un posto dell’anima e magico. Lì passano molti cantautori abruzzesi e non (è stato anche il covo di Capossela). Al ristorante “Bellavista” son successe tante cose negli anni che hanno riguardato anche questo disco che è un disco della terra. Anche il produttore artistico Francesco Arcuri l’ho conosciuto al ristorante Bellavista sette anni fa e da lì è partita un’amicizia ed una collaborazione artistica.

Nella copertina del disco come anche nel video di “Del mondo il canto”, primo singolo estratto, compare un cubo rosso. Che significato ha per te?

È stata una visione, quasi un sogno. Il cubo rosso è nato visivamente, come immagine di copertina. Per me il cubo rosso è il disco. È questo magma denso rosso, appassionato di parole e suoni. Quindi dentro il cubo rosso ci sono queste undici storie – canzoni ed è come se aprendo questa scatola ci trovassimo i personaggi e le loro storie. Nelle immagini di presentazione del disco, io carico il disco sulle spalle quasi a rappresentare il fardello di chi ha scelto di fare il cantautore perché richiede dedizione e coraggio. Nella copertina dell’album, però, il cubo è a terra come fosse un altare ed io ci salgo su per guardare a “Bellavista”.

Nell’album canti storie degli “ultimi del mondo” ma anche di attese e speranze su una base musicale folk e afro-blues, un ritmo trascinante capace di creare un contrasto tra musica e testo. Come mai questa scelta?

Credo che il cantautore deve parlare delle persone, della realtà, dei “poveri cristi” pure. È una figura popolare quella del cantautore e quindi deve parlare di queste storie. Avevo interesse a descrivere questi personaggi e dargli una possibilità in più raccontando le loro storie per dare, in alcuni casi, anche il messaggio di reagire. La base musicale porta il discorso di resistenza e poi avevo voglia di fare un disco più ritmato, più duro con più chitarre elettriche e meno acustico.

Nel brano “Al matrimonio di due nostri amici” duetti con Erica Mou. Come è nata questa collaborazione, ma soprattutto, è una canzone autobiografica?

La canzone è autobiografica: è tutto successo ed esistito compresa la piccola chiesa di campagna. È un pezzo un po’ cinematografico. L’idea di un intervento femminile nella seconda strofa del brano è stata del produttore Francesco Arcuri. La scelta di Erica Mou è stata una mia idea. Erica è venuta a suonare a Pescara, già la conoscevo come artista, mi è piaciuta molto ed era la persona giusta per interpretare questo brano. Grazie a Flavia Massimo, la violoncellista in comune, l’ho conosciuta. Ha ascoltato il brano, le è piaciuto ed è nata questa collaborazione.

Che ne pensi dei talent? Hai mai pensato di parteciparci?

In passato ho fatto delle audizioni perché consigliato e costretto dal precedente produttore artistico. Non li seguo, non li guardo e non mi interessano come la tv in generale. Secondo me nei talent c’è un pelo di falsità perché non è solo talento la musica, ma prevede molta dedizione. I talent si basano sul sensazionalismo: l’importante è commuovere il pubblico. Chi partecipa più che seguito viene sfruttato artisticamente ed umanamente. Andrebbero ripensati perché ben venga la musica in tv ma in modo più vero. Secondo me anche l’elemento della competizione, presente nei talent, in realtà non fa proprio parte del nostro mondo: mica facciamo sport o agonismo.

Il 2018 è appena iniziato: cosa ti aspetti da questo nuovo anno?

Non vedo l’ora che esca il disco e di suonarlo in giro, ma nella mia testa ci sono già delle idee nuove. “Bellavista”, il mio nuovo album, mi ha lasciato tanta voglia di fare. Sto già scrivendo delle canzoni nuove ed effettivamente, anche se è prematuro, sto già pensando ad un terzo disco.

Sandy Sciuto