Il femminismo millennial ha stracciato le palle

Prima di accendere le torce, affilare i forconi e unirvi alla folla inferocita sotto casa, let me explain. Così, proprio in due righe di numero:

alla parità dei sessi.

No ai “gender roles” (es. tu femmina in cucina, tu maschio a lavoro perché sì).

Va bene essere grasse/magre/alte/bionde/pelate/tette grandi/tette piccole/pelose/glabre.

Vuoi mettere il velo? Mettilo. Non lo vuoi? Non lo mettere.

Ti vuoi truccare? Fallo. Preferisci il look naturale? Ok.

Insomma, crediamo sia abbastanza chiara la posizione. C’è chi direbbe che sono femminista, ma onestamente non amo etichettarmi quindi diciamo semplicemente che sono una persona animata da buonsenso e che, tendenzialmente, non lascia che le scelte/inclinazioni/gusti sessuali/hobby&work del prossimo influenzino la sua vita.*

*raga, vi giuro, è facilissimo. Cioè, si vive un sacco bene a lasciare che la gente si faccia i cazzi propri senza sentirci in dovere di dire la nostra su qualsiasi cosa.

Ciò detto, arriviamo al vero motivo per cui siete qui: il femminismo millennial.

Cosa è il femminismo millennial?

Quel finto movimento di liberazione sessuale che si muove in territori a noi ben noti (instagram, facebook). Immagini carine e accattivanti (o  a e s t h e t i c, come si dice ora tra i più giovani), frasi motivazionali, marchette, articoli su come valorizzare le lentiggini, su come mettersi gli shorts fottendosene delle smagliature e fondamentali tutorial su come usare i colorista di l’oreal sui peli delle ascelle per ribellarci ai canoni estetici con stile.

Ah e poi ci sono le marchette.

…l’avevo già detto?

Siccome bazzico sul web da un po’ e so che la maggior parte degli utenti si ferma al titolo o non è in grado di sintetizzare un contenuto – nel senso, non capisce una mazza -, lo ribadisco:

I peli vanno bene.

Le smagliature vanno bene.

La ciccia va bene.

Va tutto bene, siamo tutte uniche e formidabili ma, ragazze, davvero non ci rendiamo conto di quanto ci stiano prendendo per il culo?

Anni di lotte ai giornaletti femminili e poi?? Like a Freeda. Dai ragà, siamo meglio di così.

[Dico Freeda per dire l:sa, per dire qualsiasi altro sito/profilo social su quella scia. Diciamo che questi sono quelli più “presenti”].

Sorvoliamo su chi e cosa c’è dietro quei siti.

Sorvoliamo sull’ascesa fulminea, sul budget di cui dispongono e su una serie di altre questioni che sono già state affrontate abbondantemente.

Parliamo di roba terra terra, come piace a noi persone rustiche d’altri tempi.

Parliamo del fatto che, tra un articolo-marchetta a MAC e un post in cui si glorifica un’insegnante di yoga che pratica un very empowering freebleeding (che è quella cosa che quando ti viene il ciclo ti mestrui addosso senza ricorrere a tamponi/coppette/assorbenti perché “sanguinare è naturale” – così come lo è cagare, ma grazie a dio ancora nessuno si è cimentato nel freeshitting), questi portali non trovano spazio per una serie di cose fondamentali che dovrebbero costituire l’ossatura del femminismo, soprattutto per le gggiovani che usano siti di questo genere come punto di riferimento.

Non c’è spazio per la storia del movimento, se non qualche articolo marginale ogni tanto, magari in occasione dell’otto marzo – però hey, non ti senti anche tu più empowered con le scarpe adidas?;

Politica? Nah, parliamo di quanto sono fichissimi i glitter e gli unicorni!

Non vengono affrontati temi TROPPO controversi o scomodi, tipo violenze e femminicidio – molto meno glam di questa gif di Beyoncé che fa “nono” col ditino.

Riferimenti a fatti di cronaca? No, molto meglio un meme su quanto è bello non uscire il sabato sera!

Amiche, possibile che non ci rendiamo conto che questa roba altro non è che la versione digitale di un qualsiasi numero della più becera rivista femminile?

Una di quelle che ti parlano come farebbe un’amica o una sorella, mentre ti pettina i capelli (o i peli delle ascelle) e ti sussurra “hey, ma hai visto che figata il make up di Ariana Grande? Vuoi sapere che prodotti ha utilizzato per ottenere quel look? Clicca qui per scoprirlo!. Stessi argomenti, stesse pubblicità occulte (ma non troppo), stessi messaggi fintamente edificanti. Ma almeno con le riviste ti davano i campioncini omaggio.

EH MA LA BODY POSITIVITY.

Ragazze, parliamoci chiaro, non ringrazierò un web magazine perché ha “sdoganato” la cellulite, abbiate pazienza. Anche perché, se dopo decenni di lotte per l’abolizione dei beauty standard convenzionali tutto quello che siamo riuscite a ottenere è stato non farci ghettizzare per le cosce grosse e le tette piccole, dobbiamo anche alzare le mani e accettare la sconfitta assieme al fatto che questo non ha di certo impedito alle nuove leve del “femminismo” di trovare modi tutti nuovi per mortificarci.

Perché, non so voi, ma io mi sento un pochino presa per il culo quando vedo le interviste a queste “giovani imprenditrici di successo” a malapena ventenni che fanno le “artiste” e vivono in loft meravigliosi nel centro di NY mantenendosi vendendo cristalli del karma e gioielli fatti con le piante grasse. Che poi l’eroina femminista di turno abbia madre neurochirurgo e padre manager di ventordici aziende che fatturano fantastilioni, quello è un mero dettaglio. Comunque tu ti senti una merda insoddisfatta.

Perché sì, viva ciccia, peli e capelli colorati (male) perché siamo uniche e irripetibili, però se non ti inventi un lavoro cool e instagrammabile non ci siamo. Le cassiere dell’esselunga non sono poi così tanto a e s t h e t i c.

E allora cosa posso fare, io donna tra i 18 e i 35 anni che seguo assiduamente tutti i post e le stories di questi giornaletti online?

La risposta ce la danno i medesimi giornaletti, promuovendo una cultura della persona al fine, naturalmente, di vendere qualcosa alla suddetta: tu sei speciale, tu sei importante, tu devi prenderti cura di te stessa, tu sei una forza della natura che starebbe benissimo con questa maglietta di H&M con su scritto “this is what a feminist looks like” e il rossetto glitterato di MAC.

E noi, piccole millennial boccalone che non possiamo campare di cristalli e piante grasse, ci accontentiamo di somigliare alla vita che vorremmo, alla versione di noi più instagrammabile possibile, per poi tornare mestamente a studiare per il prossimo esame o a lavorare nel nostro ufficio grigio con le piante di plastica e il capo che ci mette la mano sul culo.