“Nella vita tutto è mistero”, disse Magritte. “Nel mistero c’è la vita”, potrei aggiungere io. In effetti, se ci pensiamo tutto ciò che è ignoto, inspiegabile, paranormale, dubbioso, misterioso esercita su di noi un fascino intangibile, eppure immaginabile, quindi vero, vivo.
È quel che ha fatto René Magritte, pittore e scultore nato nel 1898 a Lessines, in Belgio, conferendo alla sua arte un aspetto solo apparentemente surreale, parlando in verità di quella realtà nascosta, sedimentata sotto il velo di Maya di cui parlava nell’800 il filosofo Schopenhauer. Che altro non è se non la vita?
Ecco perché quest’artista altamente rappresentativo del XX secolo, pur entrato spesso in contatto con i surrealisti non amava l’etichetta appiccicatagli ancora oggi dalla critica d’arte di “surrealismo”, a proposito delle sue tele. E, a dirla tutta, non amava proprio le etichette, contribuendo anzi a scomporle, distruggendo tutte le false certezze della nostra esistenza, per approdare all’unica ovvietà possibile. Ovvero, che non conosceremo mai la verità: almeno non in vita.
Perché la vita è un mistero in tutto il suo corso, dalla nascita alla morte, e tutte le sorprese che ci rivela non sono poi tanto lontane dai significati che si celano dietro le sue opere: che destano, come ciò che ci succede per caso, meraviglia e stupore. Non sempre piacevoli, d’altronde.
Ma Magritte era un uomo che sapeva pensare, e quindi la sua pittura è tra le poche capace di indurre al ragionamento l’osservatore, anche se questo può portare talvolta a sorprese spiacevoli: è la realtà, bisogna farsene una ragione, solo che eravamo così ciechi, abituati a guardarla solo in superficie, che ci voleva Magritte, e ci vuole ancora oggi, per insegnarci ad entrare in profondità in tutto quel che accade. Per osservare meglio.
Tanti auguri Magritte, che il 21 Novembre avrebbe compiuto 122 anni.
