Leggero, resistente e versatile. L’allumino è uno dei materiali più importanti ad essere impiegati in diversi segmenti di produzione. Sebbene le sue qualità e caratteristiche siano ben note, come tutti i materiali è esposto alla fatica, fenomeno di natura meccanica che porta alla degradazione dei componenti quando sono sottoposti agli effetti di carichi variabili nel tempo. Oltre ad essere permanente e progressivo, tale fenomeno è localizzato, cioè colpisce una regione specifica e in genere limitata del materiale comportando il graduale cedimento della struttura. Ciò avviene mediante processi di natura plastica che provocano l’innesco e la successiva propagazione di cricche, responsabili della rottura finale dell’intero pezzo.
Per contrastare le problematiche legate alla fatica, responsabile della maggior parte del cedimento degli organi di macchine in materiale metallico in fase di esercizio, un team di ricercatori della Monash University in Australia ha sviluppato una soluzione modificando la microstruttura delle leghe di alluminio e dimostrando la possibilità di risanare questi potenziali punti deboli. “L’80% di tutte le rotture in ingegneria è dovuto alla fatica”, ha spiegato a New Atlas il professor Christopher Hutchinson della Monash University, che ha guidato la ricerca. “La fatica è un cedimento dovuto allo stress alternato ed è un grosso problema nell’industria manifatturiera e meccanica”.
La ricerca sull’alluminio autorigenerante, pubblicata sulla rivista Nature Communications, si è concentrata nell’indagine riguardante le cause di questo problema, individuate nelle “precipitate free zones” (PFZ). Queste si formano in seguito agli effetti delle sollecitazioni alternate: iniziano a generarsi come piccoli punti di plasticità per poi continuare generando quelle crepe che portano alla frattura del materiale. Hutchinson e il suo team hanno escogitato un metodo per catturare nuove particelle che si formano quando viene applicato uno stress alla lega di alluminio. Successivamente, sono stati in grado di utilizzare queste particelle catturate per rafforzare i punti deboli. Con questo procedimento sono riusciti a ritardare in modo significativo l’insorgenza di fratture. Il metodo prevede anche un training process: si tratta di un vero e proprio addestramento che imita le sollecitazioni meccaniche che vengono poste sul materiale, ripetute per centinaia di cicli in modo da accumulare un’alta concentrazione di particelle fini nelle zone deboli e aumentare la resistenza alla trazione del materiale.
“La nostra ricerca ha dimostrato un cambiamento concettuale nella progettazione microstrutturale delle leghe di alluminio per applicazioni di carico dinamico”, ha dichiarato Hutchinson. “Invece di progettare una microstruttura resistente e sperare che rimanga stabile il più a lungo possibile durante il carico di fatica, abbiamo riconosciuto che la microstruttura verrà modificata dal carico dinamico e, quindi, abbiamo progettato una microstruttura di partenza (che può avere una resistenza statica inferiore) che cambierà in modo tale che le sue prestazioni di fatica siano notevolmente migliorate”.
Con il nuovo alluminio autorigenerante, i ricercatori affermano che modificando in questo modo la microstruttura di partenza del metallo, possono migliorare significativamente la vita a fatica delle leghe di alluminio. Per esempio, le leghe di alluminio ad alta resistenza, note per avere una scarsa resistenza alla fatica, potrebbero allungare la loro vita a fatica fino a 25 volte.