Highwaymen – L’ultima imboscata: gli inseguitori di Bonnie e Clyde su Netflix

Ultimo di film di John Lee Hancock, già regista di “The founder” e di “The blind side”,Highwaymen – L’ultima imboscata”, dal 10 marzo su Netflix, è una pellicola che racconta la caccia a Bonnie e Clyde, una delle coppie criminali più celebri d’America, la cui ascesa e disfatta, negli anni 30′, destò l’attenzione mediatica di tutto il paese, in molti casi attirando simpatie e provocando emulazioni, al punto, che la coppia di ladri-amanti, insieme alla loro banda, vennero definiti come dei nuovi “robin hood”, che rubavano alle banche per dare al popolo.

Invece che concentrarsi sui due protagonisti, sulle loro figure e sul loro sodalizio criminale e amoroso, “Highwaymen”, ci racconta di coloro che erano sulle loro tracce: degli uomini che, nonostante l’aura di invincibilità che si era formata intorno a queste due figure, evase dal carcere e fuggite più volte dall’inseguimento della polizia e della FBI, vennero chiamati dalla governatrice del Texas, per coordinare la caccia.

Si trattava di due Texas Ranger, Frank Hamer (Kevin Costner) e Maney Gault (Woody Harrelson), i quali, dopo la soppressione del corpo cui facevano parte, si erano ritirati a vita privata, non imbracciando più da tempo i fucili. Chiamati a riprendere la loro attività di cacciatori, cominciano ad indagare su Bonnie e Clyde, concentrandosi sul passato e sui luoghi d’origine dei due fuggiaschi.

Il film di John Lee Hancock, parte da un’idea interessante, quella di raccontare la storia degli inseguitori (realmente esistiti), piuttosto, che degli inseguiti. In tal modo il regista prende subito le distanze da un precedente filmico illustre come “Gangster Story” di Arthur Penn, una pellicola che, con stile anticonvenzionale per l’epoca, raccontava il fascino contraddittorio dei due protagonisti (Faye Dunaway e Warren Beatty), criminali amanti, disadattati, rapinatori quasi per gioco e per ribellione, in qualche modo patrioti della libertà, degli antieroi affascinanti.

In “Highwaymen” non c’è spazio per il mito di Bonnie e Clyde, che sono nella pellicola per lo più delle ombre fugaci e passeggere, viste di sfuggita e inseguite dai cacciatori, ombre che però seminano morti sul loro cammino compiendo ben tredici omicidi, a sangue freddo e senza tanti romanticismi. Girato più con i toni di un western, che di un gangster movie, il film asciuga molto l’edulcorata visione dei due amanti fuggiaschi, descrivendoli come assassini e rapinatori, disadattati in fuga, che sembrano destinati ad un unica fine possibile: quella di essere fermati.

Tuttavia il film di Hancock non esalta nemmeno il compito dei loro inseguitori: i due Texas ranger, gli Highway men, in fondo, sono anch’essi degli assassini, non degli eroi, ma dei vecchi cowboy alle prese con la loro ultima caccia, che non ha niente di edificante.

Hamer è un burbero cowboy, esperto in uccisioni, che nonostante si sia sistemato in una bella casa con la moglie, per una questione di principio accetta di fare ancora una volta il suo lavoro di ranger, per porre fine ad una minaccia dilagante ben oltre i confini. Nel corso del film si dimostra inflessibile nel giudicare cosa vada fatto e cosa evitato, nonostante egli stesso non sia affatto privo di ombre, come sottolinea il dialogo tra lui e il padre di Clyde Barrow (probabilmente la scena migliore del film), in cui racconta al vecchio come delle scelte sbagliate, dettate dalla vendetta, lo abbiano portato a diventare un uomo che uccide altri uomini. Le stesse scelte sbagliate hanno portato Clyde a diventare un assassino seriale, da semplice ladro di galline quale era.

Faye Dunaway alias Bonnie in “Gangster story”

Il vice di Hamer, Gault, invece, rappresenta la coscienza segnata di chi ha ucciso molte persone a sangue freddo, costretto dalla spietata legge della frontiera, che vede facilmente il bene confondersi col male. Anche nella vicenda di Bonnie e Clyde le due cose si confondono, quasi si trattasse dell’ultima caccia in un mondo di frontiera, quello del far west, destinato a scomparire. Ed il film è proprio questo, un western, in un’epoca in cui i cowboy e la loro giustizia senza regole non esistono più. I due fuggiaschi ne sono gli ultimi residui, le ultime schegge impazzite, come anche i due ranger, gli unici che sono in grado di dare loro la caccia.

L’ agguato finale a Bonnie e Clyde, descritto in modo schietto e realistico, è un’uccisione costruita con l’inganno, attuata con mezzi sproporzionati, per la necessità di porre fine alle scorribande della gang criminale e di consegnare ai media un messaggio di schiacciante successo della giustizia rispetto al crimine. Una visione arida, come i confini del Texas e della Lousiana, che i due ex ranger attraversando pur di acciuffare i due fuggitivi.

Nella parte finale del film si approfondiscono appunto questi temi, con un finale interessante, che certamente fa riflettere e interpellare su quale sia la verità dietro la vicenda mitica di Bonnie e Clyde, questo uno dei meriti della pellicola.

Tuttavia il film soffre abbastanza nella parte centrale, perché non riesce ad attirare la dovuta attenzione sulle indagini dei due ranger. I loro modi, i loro spostamenti e le loro deduzioni appaiono, infatti, troppo compassate e prevedibili, a tratti con dinamiche ripetitive e non particolarmente cariche di inventiva. Si avverte poi la mancanza della controparte criminale, che per scelta del regista non viene quasi mai mostrata sullo schermo, ma, sebbene la scelta sia voluta, a lungo andare l’omissione di caratteri anche basilari di una simile coppia eccentrica di criminali fa venir meno il dualismo e scemare l’interesse, che come si diceva viene recuperato nel finale.

La parte del film dedicata alle indagini risulta nel complesso troppo lunga e, soprattutto, priva della suspance necessaria: i due protagonisti, sebbene armati di tutto punto, non rischiano quasi mai la vita durante l’ inseguimento. Un peccato, perché l’idea di partenza era buona, così come i due interpreti, Costner e Harrelson. La psicologia dei due personaggi, inoltre, è tracciata troppo tardi nel film, quando avrebbe potuto essere anticipata, aggiungendo a ciò più azione e tensione.

Francesco Bellia