Halloween non è una festa americana, è tutta nostra

La notte di Halloween è ormai passata e, come tutti gli anni, si sono riaccese le polemiche tra coloro che la condannano e coloro che, in barba a tutte le critiche, hanno festeggiato alla grande con cappello da strega e maschera da Jason Voorhees. Ma allora dovrebbe essere lecito chiedersi: che cosa rappresenta Halloween per l’Italia?

Halloween è oggi conosciuta per lo più come la macabra e commercialissima festa americana, in cui si gioca a fare dolcetto-o-scherzetto o a spaventare i vicini con decorazioni da urlo. Buona parte degli Italiani storcono un po’ il naso a sentirla nominare, considerandola una festa priva di significato e non appartenente alle nostre tradizioni, ma“importata” dagli Stati Uniti. Buona parte di queste convinzioni sono del tutto infondate, scopriamo quali:

Halloween è una festa satanica americana?

È necessario essere molto chiari su questo punto. Basta farsi un giro sui social media per notare che la superstizione e l’ignoranza dilagante continuano a distorcere la realtà dei fatti. È evidente che la superstizione stia seppellendo la storia e la cultura che stanno alla base della festa di Halloween. La convinzione che si tratti di una celebrazione satanica è totalmente errata. Inoltre, so che per alcuni potrà sembrare incredibile, ma non è neanche vero che sia stata inventata dagli americani.

La parola Halloween è una variante scozzese del nome All Hallows’ Eve che in italiano possiamo tradurre come Veglia di Ognissanti. Una festa cristiana dunque, vigilia del giorno in cui si celebrano tutti i Santi. Festa che in Italia si festeggia proprio il primo di Novembre, il giorno dopo Halloween.

Non è un mistero che le feste cristiane siano state posizionate all’interno del calendario in modo da sovrapporsi a festività più antiche, pagane o folkloriche. Halloween non fa eccezione, Papa Gregorio III la fece coincidere con Samhain, festa legata alla natura e l’alternarsi delle stagioni.

Cos’era Samhain e che c’entra con Halloween?

In origine era un giorno sacro che segnava la fine del raccolto, e la morte della natura che sarebbe poi rinata in primavera. Era anche considerato l’ultimo giorno dell’anno, e il momento in cui l’oscurità era più potente e pericolosa. Per combattere le tenebre, i villici accendevano dei falò sacri in cui venivano bruciate le ossa degli animali macellati. Ciascuna famiglia aveva il proprio falò a difesa della propria casa.

Nel tempo questi falò hanno cambiato forma, diventando prima lanterne e poi zucche intagliate. La convinzione che le zucche di Halloween servano ad evocare il diavolo è infondata. L’obiettivo è esattamente l’opposto: servono a scacciarlo e difendere la casa dall’oscurità.

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La tradizione del “Dolcetto o Scherzetto” nasce nel Medioevo europeo, quando le famiglie povere andavano di porta in porta a chiedere del cibo in cambio di preghiere per i defunti

Halloween in Italia

Indipendentemente dalla religione che si professa, sputare sulle proprie radici e sulla storia della propria cultura, è profondamente sbagliato. Anche se le caratteristiche che ha assunto in tempi moderni derivano direttamente dall’interpretazione americana, usanze affini a quelle di Halloween sussistono nella maggior parte delle regioni italiane, e talvolta risultano essere anche piuttosto antiche.

Ecco dunque alcune delle tradizioni folkloristiche più antiche e singolari della nostra terra:

Is Animas

Secondo una credenza sarda molto antica, durante questo periodo dell’anno il velo che divide il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglierebbe tanto da permettere ai defunti di tornare sulla terra.

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Per questa occasione, le famiglie dell’isola preparano dei dolci tipici chiamati “Pabassinos” per offrirli ai bambini che vanno di casa in casa a reclamarli, bussando alle porte e recitando formule in dialetto come “Si onada a is animasa?”.

Inoltre, in alcune zone della Sardegna (ad esempio la Barbagia) si usa anche esporre zucche intagliate. Usanza che fa riferimento all’antico rito di Maimone, che prevedeva l’esposizione di teschi umani finalizzata a far piovere. Tale rito nacque nel periodo Nuragico 1800-238 a.C. e si pensa che il popolo sardo festeggiasse tale ricorrenza già in quel periodo… Altro che costumi da vampiro e mega sbronze.

Fiesta dalis Muars

Ad Ampezzo (provincia di Udine), ogni anno, il 31 di ottobre, subito dopo il tramonto, avviene la rievocazione storica di una festa chiamata “Fiesta dalis Muars” ovvero, la “Festa delle morti”. Il termine “muars” però fa anche riferimento alle zucche intagliate, che in passato si usava portare illuminate di casa in casa. Oggi la rievocazione consiste principalmente nell’esposizione di un gran numero di zucche-lanterne per le strade buie del centro storico della città, in cui si possono trovare spettacoli a tema e cantastorie.

Tale festa nasce da un’antica credenza, secondo la quale, durante la notte della vigilia di Ognissanti, al calare del sole, i defunti sarebbero stati liberi di tornare sulla terra e di visitare i luoghi che avevano abitato in vita. Tutt’oggi, in alcune famiglie, sono sopravvissute le tradizioni relative a questo culto. Infatti, alcuni, usano ancora lasciare tavole imbandite per accogliere gli antenati.

La Fiera dei Morti

In Sicilia, durante la festa di Ognissanti, sussiste un’antica tradizione che per i bambini dell’isola è paragonabile a quella natalizia. La notte del 31 Ottobre, i piccoli siciliani scrivono una lettera per i loro antenati, chiedendo loro dei doni. In cambio, i bambini nascondono una scodella pieni di dolci tipici dell’isola, come ad esempio la frutta martorana (dolci di pasta di mandorle a forma di frutta), per offrirla ai propri cari defunti.

Quella notte stessa i genitori si recano a comprare i regali alla “Fiera dei Morti”, un insieme di mercatini rionali, allestiti nelle piazze cittadine apposta per l’occasione. Il giorno dopo, i bambini vengono svegliati alle prime luci dell’alba, per cercare i regali nascosti in casa e recitare alcune formule tipiche in dialetto: “Armi santi, armi santi/ io sugnu unu e vuatri tanti/ Mentri sugnu ‘ni stu munnu di guai/ cosi ri morti mittiminni assai”.

Le Anime Pezzentelle

Uno dei teschi del cimitero, coperto di doni

Il culto dei morti a Napoli assume forme decisamente singolari. Nel cuore della città sorge il “Cimitero delle Fontanelle”. Esso accoglie i resti senza nome di 40.000 persone, vittime della grande peste del 1656 e di un’epidemia di colera del 1836. Poco tempo dopo, nacque un particolare rito, secondo il quale, le famiglie napoletane adottavano una delle anime abbandonate (chiamate per questo “anime pezzentelle”) prendendosi cura del cranio, pregando e offrendo doni, e ottenendo in cambio protezione.

Quando l’anima esaudiva il desiderio di colui che se ne occupava, spesso veniva donata al defunto una teca in cui riporre il teschio (chiamato “capuzzella”). In un secondo momento la chiesa tentò di bandire tale pratica (considerandola forse un po’ troppo pagana) ma nonostante ciò, tale tradizione è sopravvissuta e, ancora oggi, nel cimitero, si possono trovare candele, offerte e lettere di coloro che ancora la praticano.

Festeggiare o non festeggiare questo è il dilemma

Non si può non rendersi conto che nel tempo sia diventata una festa particolarmente commerciale, ma di quale festa non si potrebbe dire lo stesso? Natale, Pasqua, San Valentino… Eppure si può trovare qualcosa di affascinante e significativo in ciascuna di queste ricorrenze.

L’obbiettivo di questo articolo non è certamente quello di giudicare se sia giusto o sbagliato festeggiare Halloween, né tanto meno se esistano modi corretti o scorretti di farlo. Sarebbe però molto bello e molto importante se i cittadini di questa nazione si ricordassero di vivere in una terra ricca di un patrimonio culturale estremamente vasto ed eterogeneo. Qualunque siano le nostre convinzioni o le nostre credenze religiose, non dovremmo mai dimenticare chi siamo né da dove veniamo.

In fondo, se camminiamo su questa terra è anche merito di coloro che sono vissuti prima di noi, e non dovremmo mai vergognarci di riconoscerlo, né di essere loro grati… Anche solo per una notte.

Gian Luca Giosuè