Ghost in the shell: nei meandri del Cyberpunk

E’ infine una produzione americana a portare sullo schermo un classico del manga fantascientifico giapponese, “Ghost in the Shell“, già trasposto in forma animata nel 1995 da Mamoru Oshii. Il regista Rupert Sanders, qui al suo secondo film, si prende piena responsabilità dell’operazione, avvalendosi nel cast di Scarlett Johansson, di Takeshi Kitano e Juliette Binoche. Nella Tokyo futuristica immaginata da Masamune Shirow, autore del manga, l’umanità è “immersa” nella tecnologia. La maggior parte delle persone, infatti, ricorre ad interventi chirurgici per impiantare nel proprio corpo componenti artificiali e meccaniche, volte a migliorare le proprie capacità e soprattutto a facilitare il collegamento con la rete. Fortissimo dunque il nucleo cyberpunk dell’opera in cui il cervello umano viene considerato come un’ immensa banca dati, come un computer che puo’ essere collegato ad altre tecnologie o anche ad altri cervelli per trasferire, trasportare , rubare informazioni.

La protagonista del film è Milian Kilian, interpretata da Scarlett Joahnsson, una donna cyborg, il cui cervello è stato trapiantato in un corpo totalmente artificiale. Dotata di un corpo perfetto,  considerato un capolavoro della scienza e della medicina,  ha la qualifica di Maggiore nella sezione di Sicurezza Pubblica numero 9, un’organizzazione che contrasta il terrorismo cibernetico, gestita dalla Hanka Robotics, corpo di medici e scienziati creatori di sofisticate implementazioni, quali il corpo meccanico della protagonista.

La squadra 9 si trova ben presto a fronteggiare una inquietante minaccia. Gli scienziati dell’Hanka Robotics vengono uccisi ad uno ad uno da un terrorista che si fa chiamare Kuze (Michael Pitt). Egli è in grado di infiltrarsi, attraverso la rete, nella mente delle persone e di condizionarle o prenderne il controllo per far commettere loro delitti. Un vero e proprio manipolatore cibernetico che semina il panico nella città, rimanendo nascosto nell’ombra. Fin da loro primo incontro indiretto, Milian Kilian sente la sensazione di avere uno strano legame con Kuze, mentre crescono in lei i dubbi sulla sua stessa identità: ha realmente un’anima o  “ghost” (come viene definita nel film)? Cosa la distingue davvero da una macchina? Siamo “nei meandri del cyberpunk”, genere letterario fantascientifico, il cui manifesto è rappresentato  dall’opera “Neuromante” di William Gibson.

Le opere di cyberpunk si caratterizzano spesso per la loro complessità, soprattutto lì dove analizzano dinamiche uomo-macchina sconosciute e per loro natura insondabili e difficili da definire. Lo stesso anime di Oshii, cult d’animazione del genere, risulta ostico per chi non è avvezzo a tali speculazioni fantascientifiche. Non è il caso però del film di Sanders e questo è probabilmente il maggior merito del regista: essere riuscito a comunicare l’essenza del cyberpunk in modo chiaro, senza sbavature. Visivamente la pellicola è d’impatto. Il regista in molti casi sfrutta il materiale dell’anime del 95’, senza dubbio un’opera conturbante e di spessore.

Alcune scene sono riprodotte per filo e per segno con stesse inquadrature, stessi scenari e stesse pose, tanto da sembrare un remake in carne ed ossa della versione animata. La scelta si rivela vincente. Sanders, infatti, fa propri i momenti cruciali dell’anime arricchendoli con contenuti propri che si amalgamano bene con l’originale; ma il regista non si limita a fare un semplice live action. Fin dall’inizio del film opera una scelta: deviare dal messaggio originale dell’anime e del manga. Si concentra di più sull’umanità dentro la macchina, sul” ghost” ,che sulla commistione-attrazione tra uomo e intelligenza artificiale, che è la conclusione positivistica cui approda il manga di Shirow (cui il film d’animazione è fedele).
 Per spiegare meglio questo concetto: nell’anime  la protagonista è molto più “robotica”, distaccata, quasi insensibile, la sua crisi d’intentità è “fredda” come puo’ esserla quella di un robot e non appare per nulla fragile come invece la ben più umana versione interpretata da Scarlett Joahnsson. Nel film di Sanders Milian Kilian è fin da subito molto più empatica, insicura perché priva di memoria, come se fosse manipolata da altri che la utilizzano come un’ arma. Ed infatti è affiancata dalla scienziata che l’ha creata (Juliette Binoche) la quale come una psicologa-madre cerca di cancellare i suoi dubbi e rassicurarla offrendole certezze. Il personaggio quindi è ben diverso, molto meno sicuro di se nel film, così come è radicalmente opposta la conclusione della pellicola. Viene percorsa con decisione la via dell’umanità, piuttosto che quella della tecnologia e dell’evoluzione in altre forme miste di uomo-androide. Questo sviluppo è sicuramente molto più cauto dello spirito dell’opera originale, quindi si puo’ dire meno originale, ma è anche vero che il messaggio del manga è talmente cyberpunk da essere difficile da accettare e da comprendere per uno spettatore medio. Per questo motivo la scelta di Sanders anche se fa perdere qualcosa alla storia, puo’ considerarsi comunque una scelta saggia, perché tende a rivolgersi ad un pubblico più vasto. Il regista recupera comunque in altro modo il carattere conturbante dell’opera. Lo fa soprattutto attraverso la resa visiva. La città di Tokyo dominata da giganteschi ologrammi che sembrano aggredire chi si aggira per le sue strade; gli arti,  i sofisticati e mostruosi impianti bionici degli abitanti. I sobborghi e quartieri illeciti in cui si praticano interventi chirurgici proibiti.

Ma è umano o è una macchina” è una domanda che a ripetizione viene chiesta nel film. Un coacervo di commistioni grottesche, di gusci inquietanti (shell) e il dubbio che dentro di essi non vi sia più nulla. E’ l’anima del Cyberpunk e il film la comunica. Era dai tempi di Matrix che non si vedeva più il cyberpunk al cinema con un simile impatto scenico. L’inizio del film, con la nascita del cyborg è pregevole. Così come bella la scena in cui la protagonista si cala sott’acqua per stare al riparo dalla colorata, affollata e soffocante città che sta all’esterno, come un “circo” popolato da esseri imperfetti, ma alla ricerca della perfezione, metà uomini e metà macchine, che le sembra, a lei che, dato il suo corpo perfetto, dovrebbe essere l’emlbema questa comune idea di perfezione, molto meno reale di un abisso nero e mortifero quale la profondità dell’oceano, un nulla in cui si immedesima perfettamente nel sentirsi priva di una reale identità.

Le dinamiche e la trama del film sono abbastanza chiare nonostante l’intreccio non sia semplice. Ad esempio è ben resa l’”immersione” all’interno della memoria altrui, che puo’ avvenire attraverso il collegamento dei cervelli. I toni non sono gli stessi dell’anime, ma questo era inevitabile. Il mezzo filmico che usa gli attori doveva necessariamente adattarsi. La fisicità e la proporzione della Johansson convincono. Non puo’ essere paragonata ovviamente allo strapotere fisico e alla perfezione che possono essere rappresentate in un disegno, ma ne rendono comunque l’idea. Emergono con più forza nelle scene più prettamente action o in quelle realtive alla ricostruzione dei tessuti distrutti. 

Il film è ben fatto nelle ambientazioni, nei luoghi, nel tenere alta la tensione. Nell’esprimere anche la violenza di questo mondo “corrotto” dalla tecnologia. E’ più forte nelle scene che vengono trasposte direttamente dall’anime. Più debole in altre, ma nel complesso regge bene. Una parte del merito va data anche all’ottima colonna sonora di Clint Mansell “Lights of Soho” che indubbiamente cita quella del film del 95′ di Kenji Kawai, invasiva e pervasiva, difficile da dimenticare. Interessante anche il remix di Enjoy the silence dei Depeche Mode, realizzato per promuovere  il trailer del film (qui il link).

Come negli altri aspetti il film di Sanders risulta una trasposizione mitigata, ma ben fatta del film del 95’. Diverso il finale, diverso il messaggio, ma tutto ciò è fatto con cognizione di causa, con coerenza e grande rispetto per l’opera da cui il film è tratto.Il cyberpunk è tangibile e allo spettatore vengono proposte scene evocative di fantascienza pura che fanno intuire allo spettatore la complessità dei temi trattati.

Per concludere ecco qualche titolo Cyberpunk da vedere per chi volesse approfondire il genere. “Johhny Mnemonic” con Kenew Reeves che racconta di uno uomo che ha cancellato parte della propria memoria per trasportare dati nel suo cervello, “Strange Days” di K.Bigelow, notevole noir cyberpunk con Ralph Fiennes, e poi da ultimo “Matrix” dei fratelli Wachowski.